UNIVERSITÀ E SCUOLA
“Spero che libri e pellicole facciano l’amore”
Foto: Courtesy Everett Collection/Contrasto
“Nessun regista avrebbe accettato di spremere le madeleine come un limone […], solo un macellaio del cinema avrebbe avuto la sfrontatezza di rimaneggiare Proust”. Così François Truffaut rispondeva all’invito di adattare per il cinema Alla ricerca del tempo perduto, rifiutando con forza e senza ripensamenti. Dal libro al film: passare dalla letteratura al cinema è possibile, ma sempre con la consapevolezza che “non ogni opera è adattabile e, più di tutto, esiste una specificità dei linguaggi. È bene conoscerla, se si vuole preservarne il valore”, precisa Denis Brotto, ricercatore all’università di Padova e curatore di un recente volume che indaga pensiero e arte del regista francese, partendo dal suo amore per la pagina scritta e da una riflessione ampia sul concetto di narratività nel cinema (la seconda edizione è ora in libreria, dopo il successo della prima, pubblicata a fine dicembre 2017). Si intitola François Truffaut. La letteratura al cinema (Marsilio) e, sulla scia delle ricerche su cinema e letteratura affrontate dall’ateneo negli ultimi vent’anni, raccoglie gli interventi del convegno organizzato nel maggio 2015 dal Disll, dipartimento di Studi linguistici e letterari dell’università di Padova, tra cui gli scritti di docenti e ricercatori dell’ateneo padovano. Ecco allora le riflessioni su parola (detta) e scrittura proposte da Attilio Motta, quelle di Rosamaria Salvatore dedicate alle lettere e ai diari, rivelatori di sentimenti e di una scrittura soggettiva che attraversa e segna tutto il cinema di Truffaut (lui stesso diceva: “Il film è qualcosa di intimo come una lettera”). E ancora, le preziose considerazioni di Adone Brandalise sull’opera Il cinema secondo Hitchcock, “un libro del cinema nel senso del genitivo soggettivo”, scritto da Truffaut con la collaborazione di Helen Scott.
Jules e Jim, Fahrenheit 451, Le due inglesi, La sposa in nero, La mia droga si chiama Julie, “sono molti i film che Truffaut ha adattato da opere letterarie (Henrie-Pierre Roché, Ray Bradbury, Henry James, William Irish). In ognuno di questi casi, tuttavia, il rispetto per le differenti caratteristiche del cinema e della letteratura non è mai venuto meno – spiega Brotto - Solo Truffaut del resto avrebbe potuto fare un film in cui i libri bruciano l’uno dopo l’altro, riuscendo al contempo a fare di quelle immagini un autentico altare della memoria letteraria, con l’essere umano capace di divenire egli stesso libro pur di preservarne l’esistenza”. Stiamo ovviamente parlando di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, opera che mette al centro i libri da salvare dal rogo, la memoria dalla minaccia dell’oblio.
L’amore per i libri di Truffaut non si manifesta solo negli adattamenti: il suo pensiero, la sua arte e l’intera vita sono permeate di letteratura. Libri e pellicole si incontrano, fanno l’amore, creano qualcosa di nuovo e unico: “Spero che si mescolino e rimescolino – scriveva lui stesso - spero che facciano l’amore”. Lo scambio è ricco: racconti e romanzi diventano base narrativa per i suoi film. E tutto questo è possibile perché Truffaut si forma sui libri, come lettore appassionato, fin da bambino, poco interessato alla scuola ma affamato di letture in cui immergersi e riconoscersi: “Ogni volta che qualcuno si trovava in situazioni irregolari, io mi identificavo con lui – raccontava il regista (Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, a cura di Anne Gillain, Gremese) - La lettura di Madame Bovary per me è stata uno shock: era come marinare la scuola. Tanti amanti e così pochi soldi! Io mi esaltavo a tutto questo, detestavo tutto ciò che era normale”. Giorgio Tinazzi, docente emerito di Storia e critica del cinema all’università di Padova, definisce la scrittura “sforzo di sfuggire al vuoto, sfida al tempo”, memoria ed eredità, e nello scritto contenuto nel volume Marsilio precisa: “Tra cinema e letteratura si stabiliscono corrispondenze, si scoprono infiltrazioni, si attuano slittamenti, in una necessaria circolazione che li alimenta reciprocamente”. E aggiunge: “Viene quasi spontaneo affermare che il vasto ventaglio nel quale si articolano i rapporti tra cinema e letteratura trova nell’opera truffautiana un significativo punto di appoggio; e non si tratta certo solo delle varie modalità dell’adattamento, pur importante. Al fondo del rapporto tra le due forme c’è il piacere della finzione, della prosa di cui si parlava, e della possibilità di poterla praticare in modo diverso, autonomamente o da altre fonti, con alternanze evidenti. Sintonia con la letteratura non vuole uniformità”. Si assiste a un vivace dialogo tra parole (scritte e parlate) e immagini, in una continua ricerca di equilibri e confronti che invita a riflettere sul lavoro di sceneggiatura su cui poggia il film e a cui Truffaut partecipava sempre, anche attraverso scambi epistolari con i collaboratori (una scrittura nella scrittura), “a ribadire un’idea di autore che non può non essere presente dalla prima traccia di racconto e pre-visione – osserva Tinazzi -. Il saggio con cui il giovane Truffaut esordisce nella critica cinematografica non a caso è centrato sul lavoro di sceneggiatore”.
Truffaut è uno dei pochi autori a cui è stato dedicato persino un dizionario: Le Dictionnaire Truffaut sottolinea ulteriormente il legame del suo cinema con la parola. Il suo rapporto con la scrittura è strettamente legato alla sua attività di critico, ma non si esaurisce in essa: Truffaut “non manca mai di interrogarsi sui legami tra letteratura e cinema, sui problemi dell’adattamento cinematografico, sul ruolo della sceneggiatura all’interno della costruzione del film. Non soltanto critica, dunque – commenta Brotto - ma anche analisi delle componenti linguistiche del cinema, studio delle sue valenze espressive, indagine sul ruolo stesso svolto dalla scrittura all’interno dell’opera filmica”. Una costante ricerca, un profondo e autentico bisogno di spingere lo sguardo sempre più in là, oltre i confini delle singole materie, cercando corrispondenze, stimoli, nuovi punti di incontro. E proprio grazie all’attenzione, alla confidenza e all’intimità raggiunta con l’opera letteraria, Truffaut riesce a presagire il destino del film d’autore, “ancora più personale di un romanzo, individuale e autobiografico come una confessione o un diario intimo. Il film di domani sarà realizzato da artisti per i quali girare un film è un’avventura formidabile ed esaltante. Il film di domani somiglierà a chi l’ha girato”.
Francesca Boccaletto