Una caratteristica abbastanza unica del ‘68 è che è passato nell’immaginario collettivo come un grande momento della storia. Abbiamo vissuto all’ombra degli avvenimenti del maggio francese per mezzo secolo, con politici in attività, come Renzi o l’ex presidente francese Sarkozy, che si affannavano a esorcizzarne perfino il ricordo: “Le uniche bandiere rosse che conosco sono quelle della Ferrari”, disse Renzi. Non tutti sono d’accordo, naturalmente: lo storico inglese Niall Ferguson scrive che la vera rivoluzione inizia nel 1973 con lo shock petrolifero, i progressi dell’informatica e le scoperte sul DNA: una serie di cambiamenti simbolici che non hanno nulla a che fare con il ’68 e che sarebbero stati ben più importanti.
Resta tuttavia da capire come mai quella ribellione abbia potuto essere così generalizzata, abbia convolto un'intera generazione in tutti i continenti e nel giro di un brevissimo tempo, ma forse la risposta non è troppo difficile. Come ha scritto Luciana Castellina, all'origine di quei movimenti c’erano “le grandi sollevazioni contro la prepotenza dei forti, la guerra del Vietnam, il movimento antirazzista americano, l'ineguaglianza; e a incoraggiare il movimento degli studenti occidentali furono la rivoluzione cubana e la figura di Che Guevara, l'eroe simbolo di una sfida totale”.
“ i diritti civili di oggi sono il frutto di una lunga stagione di lotte negli anni Settanta, lotte innescate appunto dalla ribellione del '68
Agli studenti di oggi l'anniversario non interessa granchè: la libertà di costumi attuale sembra naturale e inevitabile. Il diritto di sposarsi o convivere, restare insieme o divorziare, avere figli o interrompere la gravidanza: tutto questo sembra sia sempre esistito. Ma la storia vera non è questa: i diritti civili di oggi sono il frutto di una lunga stagione di lotte negli anni Settanta, lotte innescate appunto dalla ribellione del '68. Una ribellione contro le gerarchie e un tentativo di liberare la vita dalla versione riduttiva della democrazia rappresentativa, con uno sforzo di fondare le radici della libertà nei rapporti sociali di produzione, in un contesto collettivo. Si trattava di qualcosa che è stato giustamente definito “un assalto al cielo”.
Gli assalti al cielo, per definizione, falliscono ma questo non significa che non lascino tracce dietro di sé. Il ’68 ha mostrato l’imprevedibilità delle rivolte di massa, che arrivano senza preavviso quando le condizioni storiche sono mature e aprono brecce nei muri più solidi costruiti dal Potere. Se questo, il sociologo francese Edgar Morin ha scritto un bellissimo libro intitolato appunto La Brèche, insieme a due altri grandi intellettuali francesi, Cornelius Castoriadis e Claude Lefort.
Il secondo punto è che la lunga stagione del neoliberismo, con l’aumento della precarietà, la concentrazione della ricchezza al vertice della società, l’aumento della sorveglianza e della repressione, è anch’essa figlia del ’68, nel senso che si tratta di una controrivoluzione innescata proprio dal timore della mobilitazione popolare di quell’anno. Le élite dei paesi industrializzati videro nella partecipazione democratica una minaccia per il loro potere e, a partire, dalla metà degli anni ’70, si dedicarono a svuotare i luoghi di decisione nazionali (troppo vulnerabili) per trasferire i poteri in organismi sovranazionali, internazionali, o comunque non soggetti alle “pressioni” dei cittadini. E’ per discutere di tutto questo che mercoledì 17 al Bo, nell’aula Archivio antico, a partire dalle 9,30, si terrà una giornata di studi dedicata a quegli avvenimenti, con la partecipazione degli studiosi che più hanno lavorato sulla storia comtemporanea: Paul Ginsborg, Marcello Flores, Bruno Cartosio, Paolo Pombeni.