SCIENZA E RICERCA
La carne fa male? Meglio stare attenti allo stile di vita
Non è un bel periodo per gli amanti della bistecca. Già lo scorso ottobre lo IARC, agenzia non governativa responsabile per l' Organizzazione mondiale della sanità della ricerca sul cancro, con una monografia annunciava il “declassamento” delle carni lavorate a “carcinogeniche per l'uomo” (assieme ad orrori della chimica tra cui nicotina e asbesto) e delle carni rosse a “ probabilmente carcinogeniche per l'uomo”. Queste categorie servono a stabilire se la letteratura scientifica ha raccolto prove sufficienti per dimostrare una relazione tra la sostanza in esame ed una neoplasia. Non sono in alcun modo una classifica per determinare quale sostanza ha la maggior probabilità di causare il cancro se entra in contatto con l'uomo. Poco impatto hanno avuto i commenti rilasciati da oncologi e dallo stesso direttore dello IARC, che si erano affrettati a specificare quale fosse il vero scopo informativo della classificazione usata dalla onlus. Il danno ormai era fatto. Nei giorni successivi alla pubblicazione della monografia testate giornalistiche, emittenti tv e stazioni radio affermarono che non cambiava molto tra fumare, respirare amianto, mangiarsi una bistecca o, peggio ancora, una fetta di soppressa: il rischio di ritrovarsi con la diagnosi di cancro era simile in tutti questi casi. Naturalmente non è così ed é sufficiente chiederne conferma ai professionisti della lotta contro i tumori: dalla fondazione del professor Umberto Veronesi, ai medici e ricercatori dello IOV (Istituto oncologico veneto) di Padova.
Altre notizie scoraggianti sulle proteine animali giungono questo mese dalle sponde opposte dell'Atlantico: uno studio comparso sul Journal of American Medical Association (JAMA) solleva degli interrogativi sui danni alla salute di un' alimentazione in cui le proteine animali la fanno da padrone sulle proteine di origine vegetale. Gli autori del lavoro pubblicato arrivano alla conclusione che esiste una correlazione tra il consumo di carne ed un accorciamento dell'aspettativa di vita. La biblioteca medica dell'università degli studi di Padova “Vincenzo Pinali” annuncia a proposito dell'articolo: “Chi segue una dieta ‘verde’, anche in presenza di fattori di rischio quali fumo, eccessivo consumo di bevande alcoliche, obesità, sedentarietà risulta più protetto e allunga la vita “.
L'analisi dello JAMA condotta da ricercatori del Massachussets General Hospital di Boston e dell'Istituto oncologico di Milano è un po' più cauta e sopratutto più “statistica”. Se da un lato è effettivamente vero che viene dimostrata una correlazione tra l'assunzione di proteine animali maggiore al 10% del fabbisogno energetico giornaliero con un aumento del tasso di mortalità, dall'altro è scritto nero su bianco, a chiare lettere: “... Questa associazione è limitata a soggetti con almeno un fattore di rischio nel loro stile di vita”. E ancora: “... Qualsiasi associazione statisticamente significativa riguardante il consumo di proteine è limitata a persone con uno o più delle seguenti abitudini: fumo, abuso di alcol, sovrappeso od obesità, mancanza di attività fisica...”. In altre parole, mangiare un piatto di prosciutto in più e rinunciare ad una porzione di verdura non è la scelta più saggia se si consuma un pacchetto di sigarette al giorno ed immancabilmente si preferisce il divano al jogging. Peggio ancora se si alza il gomito periodicamente e le rampe di scale risultano una sfida quotidiana a causa del girovita decisamente troppo abbondante. Guardando i dati riportati dagli autori viene confermato il sospetto che il consumo di certi tipi proteine, in primis quelle che si trovano nelle carni rosse, non sia dannoso alla salute di per sé, quanto sia un fattore che amplifichi un po' l'effetto nocivo di comportamenti che sono davvero pericolosi. La letteratura scientifica da tempo ha dimostrato e ormai dà per assodato che una scarsa attività motoria ed essere sovrappeso aumenti il rischio di malattie cardiovascolari, la prima causa di morta nel mondo occidentale. Allo stesso modo, a partire dalla metà del secolo scorso sono stati pubblicati numerosi studi sulla incontrovertibile realtà che il fumo è una delle principali cause del cancro al polmone. Non si può essere altrettanto netti nel dire che una dieta più ricca in proteine animali che in proteine vegetali accorci il numero di anni di vita. Per intenderci: nella prefettura di Tottori in Giappone, un' indagine condotta nel 1995 su circa 16 mila persone ha evidenziato che il rischio di ricevere una diagnosi di carcinoma polmonare per un fumatore abituale è cinque volte più alta di un non fumatore. Chi invece aumenta la propria assunzione di proteine animale del 10% rispetto al fabbisogno energetico giornaliero va incontro ad un rischio di morire per un disturbo cardiocircolatorio di 0,08 volte più alto di chi invece non eccede.
Inoltre, lo studio sta bene attento a discriminare tra il termine “correlazione” e “causalità”. Un accorgimento importante: quando furono fatti i primi confronti tra l'insorgenza di cancro ai polmoni e fumo di sigarette la correlazione tra i due fenomeni fu subito evidente. Al contrario il meccanismo che era alla base della correlazione non fu dimostrato in tempi immediati, anzi: richiedette tutta una serie di nuovi esperimenti. Un conto fu verificare che il fenomeno dilagante del tabagismo era in qualche modo - non meglio specificato - associato a danni al sistema respiratorio. Un conto fu stabilire il meccanismo alla base di questo fenomeno, ovvero definirne la causalità, la prova provata che le molecole di nicotina, catrame e monossido danneggiano seriamente i processi vitali della fisiologia umana. Proseguendo nel parallelismo, la monografia dello IARC di ottobre e lo studio epidemiologico apparso su JAMA non puntano ad individuare il nesso causale, quanto a stabilire una relazione statistica che sia degna di nota. Da questo punto di vista, gli autori hanno svolto un lavoro certosino, analizzando campioni di centinaia di migliaia di persone, classificandone abitudini alimentari, stile di vita, vizi e cause di morte. Gli studi biostatistici sono essenziali: permettono di mettere ordine in un mare di numeri, facendo emergere schemi e relazioni, più o meno probabili, battendo la via per verifiche sperimentali sui meccanismi alla base di questi eventi epidemiologici. Solo una volta giunti alla descrizione della causa che sottende la correlazione si completa la quadratura del cerchio e si possono tirare le somme: capire a fondo perchè l'eccesso di proteine animali derivate da carni rosse aumenti il rischio di tumore al colon retto, qual è il nesso tra tali proteine e le mutazioni geniche alla base di un cancro maligno, illustrare quale meccanismo salva vita viene attivato da una proteina di origine vegetale. Eccessive paure per quanto riguarda una supposta azione nefasta delle proteine animali in quanto tali e facili entusiasmi riguardo l'effetto allunga-vita delle proteine vegetali, per ora, possono essere messe da parte, lasciando spazio invece ad una sana consapevolezza che uno stile di vita sano che include lo sport, l'astinenza dal fumo ed una dieta bilanciata nelle sue componenti, incluse le proteine animali e vegetali, è una buona “medicina” quotidiana per prendersi cura di se stessi.
Tommaso Vezzaro