UNIVERSITÀ E SCUOLA

Che fine ha fatto il diritto allo studio?

Nell’Italia con il segno più, più forte, più semplice, più orgogliosa, più giusta – con “1.000 ricercatori, 500 cattedre universitarie speciali, 500 assunzioni nella cultura, 500 nuovi professori selezionati fra i cervelli all’estero o intrappolati in Italia” – presentata dal presidente del Consiglio Renzi illustrando la legge di stabilità 2016, c’è un segno uguale di cui non ha fatto menzione: uguali risorse per il Fondo statale che finanzia le borse di studio: 162 milioni di euro. Nel vero segno della stabilità (sic!), poiché l’ammontare è rimasto invariato da quattro anni a questa parte (se si esclude il 2013 quando scese a 149 milioni di euro) e nel bilancio di previsione dello Stato è iscritta la stessa cifra per il prossimo triennio 2016-2018. Nella buona università, con una visione miope – per la verità di lungo corso – che sta mostrando tutti i suoi limiti, non sembra esserci spazio per il sostegno agli studenti, specificatamente di quelli meritevoli e privi di mezzi, al di là delle parole espresse sovente anche dal ministro Giannini, ma quelle si sa sono veramente a costo zero.

La contrazione del tasso di passaggio dei maturi verso l’università – il rapporto immatricolati su maturi è sceso dal 65,7%, nel 2009/10, al 60,2% nel 2014/15[1] – quindi il calo degli immatricolati del 9% circa negli ultimi cinque anni (-27mila studenti), che ha riguardato quasi tutte le regioni seppure con delle differenze da ateneo a ateneo, devono porre al sistema universitario delle riflessioni e al governo degli interrogativi.

Come si può elevare il livello di istruzione del nostro Paese, e nello specifico raggiungere l’obiettivo del 40% dei laureati nella fascia di età 30-34 anni (da cui siamo molto lontani, penultimo tra i paesi Ocse con il 22%), quindi incentivare le iscrizioni universitarie (che fino a ieri sembravano non potersi esaurire), posto che si ritenga prioritario lo sviluppo del capitale umano e un valore la mobilità sociale?

Agendo su più fronti, uno dei quali è senz’altro il sistema del DSU, deficitario sotto molteplici aspetti, in primis sotto il profilo delle risorse destinate alle borse di studio su cui recentemente ha puntato il dito anche la CRUI. Tradotto in numeri, occorrerebbe almeno il doppio di quanto ora stanziato, ovvero circa 330 milioni di euro: questo è l’ammontare con cui lo Stato, si stima, nel 2014/15, avrebbe potuto finanziare la spesa per borse di studio e mobilità internazionale per una quota pari al 70%, in ciascuna Regione, al netto delle entrate da tassa regionale. In comparazione agli oltre due miliardi di euro spesi da Francia e Germania per il sostegno agli studenti, e al miliardo speso dalla Spagna, si tratta di bruscolini.

Si noti bene, il calcolo delle risorse necessarie è stato fatto basandosi sul sistema attuale che interessa un numero di idonei pari al 10-11% della popolazione studentesca, dunque una porzione di studenti assai esigua che occorrerebbe ampliare e che invece, a seguito dell’introduzione della riforma ISEE, nel 2015/16, si ridurrà ulteriormente (a meno di correttivi in corso d’opera). In sintesi, è una stima al ribasso.

Le associazioni studentesche e alcuni parlamentari, non chiedono la luna per il DSU nella legge di stabilità. Eppure tutti gli emendamenti presentati al Senato al fine di incrementare il Fondo statale per le borse – dai 50 ai 200 milioni di euro – sono stati ritirati, ritenuti inammissibili o respinti, mentre è stato approvato in Commissione Bilancio un incremento di 5 milioni di euro a decorrere dal 2016 che si commenta da solo.

Aumentare le risorse è una condizione necessaria ma non sufficiente per garantire a tutti la borsa di studio. E’ indispensabile riformare il sistema di finanziamento dando applicazione a quanto prevede il d.lgs. 68/2012, una corresponsabilità finanziaria di Stato e Regioni, perché altrimenti il rischio è che a fronte di un aumento delle risorse statali le regioni riducano le proprie, con l’esito che la figura dell’idoneo non beneficiario non scompaia mai. E’ esemplificativo quanto è accaduto nel 2009 quando il Fondo fu straordinariamente di 246 milioni di euro: la percentuale di borsisti su aventi diritto è stata dell’84%, soltanto due punti percentuali in più rispetto all’anno prima quando lo stanziamento statale fu di 152 milioni di euro. Come è indicativo che l’incremento del gettito da tassa regionale DSU, successivamente all’aumento a 140 euro della tassa a carico degli studenti, nel 2012, non ha portato ad un maggiore numero di beneficiari di borsa.

Investire o non investire nel sistema di sostegno agli studenti dipende da quale direzione si vuole imprimere al sistema Paese, negli ultimi anni concretamente e amaramente più indirizzata verso l’ampliamento del gioco d’azzardo, da cui lo Stato incassa ben 8 miliardi di euro[6]; apparentemente si tratta di due mondi paralleli, se non fosse che nella promessa del guadagno facile e dell’elevazione sociale fortuita, rimangono incastrati soprattutto i soggetti svantaggiati e provenienti dai contesti meno istruiti.

P.S. Come mai del 3% del Fondo Unico Giustizia che in base a quanto sancito dalla legge di conversione del decreto “Istruzione” avrebbe dovuto confluire nel Fondo statale per le borse, non si è vista ad oggi neanche l’ombra di un euro?

Federica Laudisa

Articolo originale tratto da Roars

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012