SOCIETÀ

Classe media addio? Il caso del giornalismo

“Il suo compagno taceva, pareva soprappensiero. Poi, d’improvviso, domandò: ‘Perché non provi a fare il giornalista?’ L’altro lo guardò sorpreso, poi disse: ‘Ma... ma se non ho mai scritto un rigo.’ ‘Bah! si tenta, si comincia. Vedi, potresti essermi utile andando in cerca d’informazioni, sbrigando certe pratiche, visitando la gente. Potresti avere, inizialmente, 250 franchi al mese e le carrozze pagate. Vuoi che ne parli al direttore?’

C’era una volta una professione che permetteva ai giovani intraprendenti ma di origini modeste, intelligenti ma senza laurea, di salire nella scala sociale e di raggiungere il successo, nel caso peggiore di entrare nella classe media e di vivere una vita senza lussi ma anche senza saltare pasti: il giornalismo. Il dialogo citato qui sopra viene da Bel-Ami di Maupassant, pubblicato nel 1885, un volume che si conclude con il protagonista George Duroy “sul punto di spiccare un salto” dal giornalismo alla politica, ipotesi tutt’altro che romanzesca: Georges Clemenceau seguì questa strada, fondando un settimanale quando aveva solo 20 anni e diventando, parecchio tempo dopo, presidente del consiglio francese, così come Winston Churchill, corrispondente da Cuba nel 1895 e poi dalla guerra anglo-boera nel 1899. Inutile ricordare da noi, il caso di Benito Mussolini che a 30 anni era già direttore dell’Avanti!

Senza risalire così lontano nel tempo, il secondo dopoguerra è stato, fino al 1975 circa, un periodo di espansione del giornalismo e di consolidamento delle condizioni lavorative: la moltiplicazione dei supporti (non solo più stampa ma anche radio e televisione), l’aumento dei lettori, la crescita economica e il conseguente afflusso di pubblicità facevano parlare di un’Età dell’Oro del giornalismo. La popolarità mondiale raggiunta da Bob Woodward e Carl Bernstein, i due cronisti dello Washington Post che costrinsero alle dimissioni Richard Nixon ne sembrava la prova.

E’ a metà degli anni Novanta, tuttavia, che lentamente inizia il declino delle macchine dell’informazione. In tutto il mondo, dal 2000 in poi diminuiscono le testate, e con esse i giornalisti.  Negli Stati Uniti, il picco dei giornalisti impiegati a tempo pieno si è toccato nel 2000, con 56.400 persone, nel 2013 erano diventati soltanto 36.700. In Italia, la crescita dei posti di lavoro nelle pubbliche relazioni e nel settore pubblico ha mascherato il declino delle assunzioni nei giornali e solo a partire dal 2008 il calo degli assunti a tempo indeterminato è diventato evidente: erano 14.776 nel 2000, 18.067 nel 2009, nel 2014 erano scesi a 17.857. Ce lo dice un rapporto di Pino Rea che verrà presentato il 12 gennaio nella sede della Federazione della Stampa a Roma, uno studio che fotografa impietosamente la condizione della professione in Italia.

Nel 2014, quasi due terzi dei giornalisti attivi (64,6%) erano lavoratori autonomi, circa 25.000 lavoratori: nel 2008 erano 18.000 e nel 2002, appena 9.000. Questo significa che, mentre i confini della professione si sono enormemente allargati (oggi l’Ordine dei giornalisti ha oltre centomila iscritti, metà dei quali attivi), la proletarizzazione della categoria è avanzata a passi da gigante. Basti pensare che tra i 23.704 giornalisti freelance con un reddito sopra lo zero, ben sette su dieci dichiarano introiti inferiori a 10.000 euro annui lordi. La retribuzione media annua è 10.935 euro annui, 900 euro lordi al mese, che probabilmente si traducono in 600 euro circa che entrano effettivamente sul conto in banca. Il regista Massimo Venier ha intitolato “Generazione 1000 euro” il suo simpatico film del 2009 ma, in realtà, per la generazione di giornalisti fra i 25 e i 40 anni i 1.000 euro rimangono un sogno, salvo che non siano a loro volta figli di giornalisti di una generazione più fortunata.

Nella sua conferenza stampa di fine anno, Matteo Renzi ha polemizzato con il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino, che aveva definito “schiavitù” quella di molti giovani giornalisti che guadagnano meno di 5.000 euro lordi l’anno, poco più di 400 euro al mese. Forse non sarà schiavitù come quella che ancora esiste in Mauritania, ma certo la condizione di vita e di lavoro dei trentenni che vorrebbero fare dell’informazione il loro lavoro è più simile a quella dei braccianti a giornata di un tempo che a quella di moderni professionisti, o magari del protagonista di Bel-Ami.

Lo ha rilevato Ester Castano, una giovane giornalista che sul suo profilo Facebook ha postato una lettera aperta a Renzi in cui dice fra l’altro: è vero “che per un giornalista i 4.920 euro lordi guadagnati in un anno lavorando ogni giorno “non sono schiavitù”. E’ vero. Perché quella retribuzione non è schiavitù, è qualcosa di peggiore: è morte. E’ morte della voglia di scavare sino a trovare la verità, è morte della capacità di scrivere, è morte della passione messa nell’esporre. E' morte di un lavoro svolto con precisione, senza sbavature e con la narrazione dettagliata dei fatti. E’ morte del mestiere, della professione. E' morte della persona. Ho vissuto fino a giugno con quei 410 euro al mese, a volte (molte) anche meno. E come me innumerevoli colleghi ad ogni latitudine dello Stivale, isole comprese. (…) Forse, presidente, Lei non sa cosa significa guadagnare 5 euro lordi ad articolo e dover andare a fare la spesa comprando il detersivo per lavare i panni. Perchè il più economico costa 4.99, e quell'articolo da 5 euro lordi scritto su ricerche fatte durante un giorno e una notte non copre nemmeno il costo”.

In realtà, il giornalismo ha subito un processo di ridimensionamento che ha come origine l’ampia disponibilità di informazione gratuita on line, ma è anche vittima di una crisi più generale delle classi medie che colpisce pesantemente anche avvocati, architetti, ingegneri, tutte le ex “professioni liberali”. Ovunque, si vede all’opera lo stesso processo di polarizzazione tra un ristretto gruppo di soggetti che dominano il mercato e una vastissima platea ai margini della professione.

Nel caso del giornalismo italiano, il rapporto di Rea ci permette di seguire l’evoluzione del piccolissimo gruppo dei super-redditi (over 130.000 euro lordi). Se nell’anno 2000 erano 433, nel 2014 erano ben 1229, quasi quadruplicati. Gli ottocento giornalisti italiani meglio pagati hanno incassato nel 2014 quasi 71 milioni di euro lordi, cioè l’equivalente di quello che hanno guadagnato tutti insieme circa 14.400 freelance. 

Fabrizio Tonello

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