SOCIETÀ
Concetti diversamente autorizzati

Foto: Massimo Pistore
All’indomani della proclamazione dello stato d’assedio, l’8 novembre 1984 la Gazzetta Ufficiale del Cile di Pinochet pubblicava il decreto 1.217: si ordinava a tutti i mezzi di informazione di “astenersi dal diffondere informazioni, interviste, commenti, dichiarazioni, supplementi, reportage, fotografie o illustrazioni e qualunque altra forma di espressione” che potessero “causare allarme nella popolazione, disturbare la quiete e la normale conduzione delle attività nazionali”. Lo stesso decreto vietava la pubblicazione di qualunque notizia senza la preventiva autorizzazione del governo. Certamente la società Expo non conosceva questo precedente: e dunque vogliamo credere che le norme di accesso alla manifestazione siano il frutto di qualche funzionario un po’ troppo solerte, che ha pensato di blindare la grande esposizione dedicata al cibo con una serie di prescrizioni involontariamente degne del generale o del leader supremo della Corea del Nord. Certo, possiamo chiudere un occhio sulla lista dei materiali che è vietato introdurre (un elenco che comprende “fionde e catapulte, pistole lanciarazzi, pistole per starter, lanciarpioni e fucili subacquei, fucili stordenti, pistole paralizzanti, manganelli a scarica elettrica”): una misura precauzionale che fa pensare più a un’atmosfera da Vietnam che da gioiosa fiera per famiglie, ma è giustificata dai timori che oggi si accompagnano, purtroppo, a qualunque concentrazione di folle e rappresentanze nazionali. Meno comprensibile è invece la nota inviata dal ministero dell’istruzione alle scuole in cui si dettano le prescrizioni per la visita degli studenti. Una serie di norme che discendono pari pari da un vademecum congiunto predisposto da Miur ed Expo, a sua volta figlio delle “Regole per i visitatori” pubblicate sul sito della manifestazione e che ciascun acquirente accetta nel momento in cui compra un biglietto. Nei documenti Miur si legge che all’interno del sito espositivo “non è consentito introdurre qualsiasi tipo di materiale stampato o scritto, contenente propaganda a dottrine politiche, ideologiche o religiose, asserzioni o concetti diversi da quelli esplicitamente autorizzati dalle Autorità di Pubblica Sicurezza”. E le “Regole” sul sito di Expo sono ancora più dettagliate, precisando che tra i materiali vietati rientrano “striscioni, cartelli, stendardi orizzontali, banderuole, documenti, disegni” che riportano i contenuti descritti prima.
La raffica di censure ha suscitato la perplessità (per così dire) di alcuni esponenti politici, alla cui interrogazione ha risposto lo scorso 13 maggio il ministro per le riforme costituzionali. Maria Elena Boschi ha spiegato che “Expo Spa è una società privata”, e che “Expo è una fiera che è qualificata come luogo privato aperto al pubblico e, ai sensi dell’articolo 1341 del codice civile, chiunque voglia accedere ad Expo deve sottostare al regolamento. Quindi, attraverso l’acquisto del biglietto, si accettano anche le regole per l’accesso”: legittimamente, quindi, “sono posti dei limiti alla possibilità di portare cartelloni o altro materiale che in qualche modo possa essere pericoloso”. La risposta del ministro suscita almeno tre domande: primo, se è anche possibile che un grosso cartellone di legno possa risultare “pericoloso” se scagliato in testa a qualcuno, riesce difficile pensare che uno striscione, uno stendardo o un disegno possano essere usati con successo per attentare all’incolumità di una guardia giurata o a di un addetto alla macchinetta del caffè. Il secondo dubbio riguarda i contenuti che questo materiale dovrebbe riportare per essere ammesso, ossia “propaganda a dottrine politiche, ideologiche o religioni, asserzioni o concetti” che siano preventivamente autorizzati dalle autorità di pubblica sicurezza. Esiste dunque un elenco di dottrine politiche, religioni, “asserzioni e concetti” ufficialmente autorizzati? In questo caso sarebbe utile saperlo, se non altro per prendere atto che l’articolo 1341 del codice civile è stato formalmente innalzato a principio costituzionale prevalente su quello della libertà di manifestazione del pensiero. Il terzo dubbio è sul tenore letterale delle affermazioni del ministro riguardo alla natura giuridica privata della società Expo Spa: dubbio che già ci sfiorava nello scorrere l’elenco dei soci (40% ministero dell’economia, 20% ciascuno Regione Lombardia e Comune di Milano, 10% ciascuno Provincia e Camera di Commercio di Milano); e che ci lacera ancor più dopo la sentenza dello scorso 4 febbraio, con cui il Consiglio di Stato ha stabilito che per Expo “non possano sussistere dubbi in ordine alla natura di organismo di diritto pubblico”.
Dal momento che né la politica né (pur se interpellato) il commissario di Expo hanno saputo rispondere a questi dubbi, non ci rimane che aspettare con serenità il momento in cui qualcuno tenterà di entrare all’evento indossando una t-shirt con la scritta “Dio c’è”, “Allah è grande” o “Grazie a Dio sono ateo”; per non parlare delle scolaresche i cui membri portino sulle spalle zaini con disegni inneggianti alla marijuana libera (simbologia, com’è noto, rarissima tra gli adolescenti). Sappiamo già, per fortuna, che gli addetti alla sicurezza saranno decisamente più flessibili degli estensori delle regole, visto che qualche giorno fa un quotidiano nazionale ha ingaggiato alcuni studenti, che sono entrati senza problemi pur indossando magliette con i più svariati e aggressivi slogan politici.
Quanto ad “asserzioni e concetti”, sarebbe forse il caso di invitare qualche grafico col senso degli affari a creare una linea di gadget da portare a Expo (esclusi lanciarpioni e pistole paralizzanti) con impressa un’asserzione certamente non autorizzata. E se a Milano fosse di casa l'autoironia, il concorso lo indirebbero gli organizzatori.
Martino Periti