SOCIETÀ

25 marzo 1911: la tragedia della Triangle che divenne un simbolo

In the heart of New York City, near Washington Square,/ In nineteen eleven, March winds were cold and bare,/ A fire broke out in a building, ten stories high,/ And a hundred and forty six young girls in those flames did die.” I versi di questa canzone popolare sono stati composti dalla cantante Ruth Rubin nel 1968 per commemorare uno dei più gravi incidenti industriali mai verificatisi negli Usa: l’incendio della fabbrica tessile Triangle, scoppiato a New York il 25 marzo 1911.

La Triangle Shirtwaist Company, situata nel cuore di Manhattan all’incrocio fra Greene Street e Washington Place, poco a est di Washington Square Park, rappresentava all’epoca uno dei maggiori stabilimenti di produzione di capi d’abbigliamento e impiegava, negli ultimi tre piani dell’Asch Building, all’incirca 600 operai, la maggior parte dei quali donne giovanissime. Il lavoro si svolgeva su turni massacranti e con la prospettiva di salari estremamente bassi, dai 6 ai 7 dollari la settimana, in condizioni antigieniche e di scarsissima sicurezza. In seguito a una serie di incidenti verificatisi in fabbrica già prima della catastrofe del 1911, numerosi lavoratori della Triangle, e in particolare molte giovani operaie, si erano organizzati in gruppi e comitati sindacali, come la International Ladies' Garment Workers Union e la Women's Trade Union League, e avevano dato vita a scioperi già nel 1909 e nel 1910, rivendicando una maggiore tutela dei propri diritti e il rispetto delle nuove leggi sulla sicurezza sul lavoro.

Quel 25 marzo, un incendio scoppiato all’ottavo piano alle 16.40 si propagò rapidamente nei due piani superiori del palazzo causando la morte di 146 operai della Triangle, in gran parte giovani donne immigrate di origini italiane ed ebree, perlopiù di età compresa fra i 13 e i 22 anni, che si erano traferite da pochi anni negli Stati Uniti insieme alle proprie famiglie alla ricerca di prospettive di vita migliori. La legislazione statunitense obbligava già allora e da diversi anni, dopo il grande incendio di Chicago del 1871, all’adozione di misure di sicurezza come scale e uscite antincendio, ma queste in parte mancavano, e in parte erano ingombre o sprangate, rendendo la fabbrica una vera e propria trappola in caso di incidente.

I lavoratori superstiti, le cui testimonianze vennero accuratamente raccolte a 50 anni dalla tragedia dal giornalista e scrittore Leon Stein nel suo libro The Triangle Fire hanno raccontato di come l’uscita di sicurezza sul lato di Green Street fosse stata completamente invasa dal fuoco e di come sia stato impossibile per gli operai abbandonare l’edificio attraverso l’unica via di fuga praticabile, le scale che si affacciavano su Washington Place, poiché le porte di questa uscita erano chiuse. Essi hanno unanimemente supposto che le porte fossero state deliberatamente bloccate dai proprietari della fabbrica, Max Blanck e Isaac Harris, i quali erano soliti tenerle chiuse a chiave per paura che i lavoratori potessero rubare dei materiali o fare troppe pause.

Nel corso di una sola mezz’ora, centinaia di operaie persero la vita inghiottite dalle fiamme che divamparono violentissime o soffocate dal fumo; altre accorsero alle finestre dell’edificio nella speranza di ricevere soccorso dall’esterno per poi scoprire che le scale dei vigili del fuoco erano troppo corte per raggiungere i piani più alti, nei quali la fabbrica aveva sede, e si trovarono a scegliere fra gettarsi nel vuoto o morire bruciate. Importanti per ricostruire l’accaduto sono state le testimonianze di giornalisti e passanti che hanno avuto modo di assistere personalmente a quel terribile spettacolo. Il pubblico venne a sapere del rogo della Triangle Shirtwaist Company  attraverso il resoconto che ne fece un testimone oculare, in seguito inserito da Leon Stein all’interno del suo Out of the Sweatshop: The Struggle for Industrial Democracy: William Sheperd, giornalista dell’agenzia United Press fece telefonicamente la cronaca della tragedia, che fu immediatamente telegrafata ai più importanti quotidiani nazionali. Egli vide decine di ragazze alle finestre dei piani più alti del palazzo urlare circondate da un inferno di fuoco e lasciarsi cadere piuttosto che essere raggiunte dalle fiamme. Come riportò un articolo del 26 marzo 1911 del New York Times, i proprietari ebbero responsabilità pesantissime nella tragedia, e non solo per aver bloccato le uscite. “Harris e Blanck si trovavano nel palazzo, ma riuscirono a scappare. Portarono con sé i figli di Blanck e un’istitutrice, e fuggirono sui tetti. I loro impiegati non conoscevano quella via di uscita, poiché avevano l’abitudine di utilizzare due montacarichi, ma uno dei due ascensori era fuori servizio nel momento in cui scoppiò l’incendio”.

Questo episodio ebbe profonde ripercussioni sociali e politiche nelle settimane successive; la International Ladies' Garment Workers Union organizzò una giornata ufficiale di lutto durante la quale i newyorkesi sfilarono in corteo per le strade della città. Ben presto si levarono voci di protesta fra i cittadini, indignati per le condizioni che avevano reso possibile una tragedia di tali dimensioni nonché per il pressoché totale disinteresse verso la sorte delle loro operaie dimostrato da Harris e Blanck. Le adesioni ai comitati sindacali crebbero notevolmente, e le manifestazioni del 1 maggio videro cortei di commemorazione e protesta in ogni città degli Stati Uniti e all’estero; l’impressione suscitata fu tanta, che spesso si associa a questa tragedia l’istituzione della giornata della donna l’8 marzo, in realtà legata a una grande manifestazione di donne a San Pietroburgo nel 1917, che rivendicava la fine della guerra mondiale.

All’indomani dell’incendio, le numerose testimonianze che avevano attribuito ai proprietari della fabbrica la responsabilità di aver bloccato l’unica uscita di sicurezza disponibile portarono l’ufficio del procuratore distrettuale a depositare un atto di accusa contro Blanck e Harris. L’11 aprile essi furono incriminati con l’accusa di omicidio colposo di secondo grado ai sensi dell’articolo 80 del Codice del Lavoro, ma a 23 giorni dall’inizio del processo il brillante avvocato della difesa Max Steuer riuscì a ottenerne l’assoluzione. L’assicurazione pagò ai proprietari 400 dollari per ogni lavoratore morto, ma Black e Harris si limitarono a pagare alle famiglie delle vittime un risarcimento di soli 75 dollari: anche in cenere, le operaie dell’Asch Building continuavano ad essere un buon affare per i loro datori di lavoro. Pochi giorni dopo l’incendio fu aperta una nuova sede della fabbrica, a sua volta priva di uscite di sicurezza adeguate e non a prova d’incendio: scarti di tessuto, olio lubrificante e cesti di vimini infiammabili erano ovunque.

Come scrisse Martha Bensley Breure nel 1911, “ogni anno negli Stati Uniti sono circa 50.000 gli uomini e le donne morti sul lavoro: 136 al giorno… e lentamente, molto lentamente, in queste migliaia e migliaia di lavoratori sta nascendo la consapevolezza che tali incidenti non si debbano più verificare”.

La tragedia della Triangle è uno degli eventi commemorati dalla Giornata Internazionale della Donna, celebrata per la prima volta negli Stati Uniti nel 1909, ed è ancora profondamente radicata nella memoria collettiva della nazione e delle associazioni operaie.

Teresa Bovo

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