SCIENZA E RICERCA

Per affrontare uno squalo preferite 25 concorrenti o 25 compagni?

È il momento della competitività: basta andare su un catalogo di libri italiani on line per scoprire oltre 400 titoli che hanno a che fare con “l’essere competitivi” come Paese, come aziende, come persone. Si va da Sputnik moment. Quando la crisi diventa l'occasione per aumentare la competitività a Il vantaggio competitivo, passando per Massima fiducia. L'onestà come vantaggio competitivo. Ma è proprio vero che dobbiamo essere competitivi? La civiltà moderna è stata costruita sulla competizione fra gli esseri umani?

In realtà, l’ossessione di questi anni è un fenomeno recente e superficiale: il biologo Martin Nowak sfata i luoghi comuni sulla competizione. “È stata la cooperazione a trainare l'evoluzione della vita sulla Terra”. Solo una lettura distorta e scolastica di Darwin e della sua teoria della selezione naturale conduce a privilegiare la competitività: ha il profumo dei banchi di scuola la lezione per cui, a sopravvivere, sono solo gli individui che meglio si adattano all'ambiente. Pesce grande mangia pesce piccolo, mors tua vita mea, homo homini lupus, sono corollari che ruotano attorno alla competizione come leva dell’evoluzione. La cooperazione, correlata all’evoluzione della specie, era fino a poco tempo fa ignorata in ambito scientifico. Sembrava si dovesse sconfinare in altri campi per spiegare fenomeni di collaborazione umana e parole come empatia, altruismo, solidarietà, fratellanza. Fino a non molti anni fa.

“La competizione ha avuto un’importanza fondamentale per l’evoluzione, ma non è stata quella determinante. È stata la cooperazione, la forza trainante per l’evoluzione della vita sulla Terra, fin dall’inizio”. Ad affermarlo in un articolo pubblicato su Scientific American nel luglio 2012 è Martin A. Nowak, professore di Biologia e matematica e direttore del Programma per le dinamiche evolutive all’università di Harvard.

Nowak, che all’argomento ha dedicato gran parte della ricerca accademica, molte pubblicazioni su riviste scientifiche e anche un libro, sostiene che genomi, cellule, organismi pluricellulari, insetti ed esseri umani hanno il fondamento proprio sulla cooperazione per costruire nuovi livelli di organizzazione.

Basti pensare alle cellule all’interno di un organismo che si coordinano per tenere sotto controllo il processo di divisione ed evitare che si formi un cancro. Cooperazione, appunto, significa che egoistiche cellule replicanti, rinunciano ad una parte del proprio potenziale riproduttivo per aiutarsi l’un l’altra.

Nell’evoluzione, cooperazione e competizione sono, comunque, perennemente e strettamente interconnesse, poiché la selezione naturale implica sempre la competizione. 

Nowak individua ben cinque meccanismi nell’evoluzione della cooperazione, attraverso cui gli organismi – dai batteri agli esseri umani -  riescono a superare proprio quel comportamento egoistico che la selezione naturale imporrebbe.

La prima condizione che può promuovere l’affermarsi di un comportamento di collaborazione è quella della parentela tra individui (kin selection). È un fatto: tendiamo a essere più cooperativi con le persone della nostra stessa famiglia. I genitori sono disposti a dare la vita per i figli e usualmente ci si aspetta di essere   aiutati più da un parente che da un estraneo. Il secondo meccanismo che permette l’evoluzione di comportamenti altruistici è quello che Nowak definisce della reciprocità diretta (direct reciprocity). Questo meccanismo è tipico delle culture in cui le persone vivono insieme e interagiscono sempre e solo tra loro. Anche se vogliamo perseguire il nostro interesse personale, siamo portati a restituire un favore ricevuto, così da poter contare sugli altri in caso di bisogno. I gruppi che hanno sviluppato questo meccanismo, dopo molte generazioni, si sono evoluti per essere più generosi, e “perdonare”  anche in caso di non restituzione del favore.

Il terzo meccanismo proposto è quello della reciprocità indiretta (indirect reciprocity). Si può decidere di aiutare anche  qualcuno che non si conosce affatto, se costui ha una buona reputazione. E sulla scelta di agire in modo cooperativo o meno pesano anche  le conseguenze in termini di reputazione. La selezione naturale favorisce strategie che basano le loro decisioni sul cooperare o meno sull'effetto reputazione. 

Lo scalino successivo è quello della reciprocità di rete (network reciprocity): quando una persona cooperativa incontra una egoista offrendole aiuto e non ricevendolo in cambio, quella cooperativa potrebbe non sopravvivere. Le persone collaborative sopravvivono quando sono raggruppate tra loro, e proprio in quanto gruppo diventano molto più forti delle persone dal comportamento egoistico.

Infine, agisce nell'evoluzione della cooperazione così come narrata da Nowak il meccanismo della selezione di gruppo (group selection). Infatti la selezione non agisce solo sugli individui. Un gruppo di cooperatori ha più successo di un gruppo di “disertori” (così sono definite le persone dall'atteggiamento non cooperativo), in quanto questi ultimi hanno dei vantaggi solo finché si trovano in un gruppo con dei cooperatori. 

Nel suo articolo, Nowak aggiunge che la cooperazione è “intrinsecamente instabile”: attraversiamo periodi di intensa collaborazione che culminano in risultati molto proficui. Tuttavia, possiamo fallire nei nostri sforzi, trovandoci in situazioni terribili. Insomma, come indicano le simulazioni matematiche sull’evoluzione, la cooperazione è ciclica: dopo un periodo di collaborazione, la defezione prende il sopravvento ma, alla fine, l’altruismo è sempre ripristinato. 

Gli esseri umani non si comportano in modo casuale in queste alternanze: lo stesso Nowak ha notato che le persone tendono ad essere più generose se sono osservate e più inclini all’atteggiamento cooperativo quando convinte che fosse giusto quello che erano state chiamate a fare.

Ma in sostanza, why we help, perché ci aiutiamo? Tra i cinque fattori che fanno crescere, nella scala evolutiva, i comportamenti cooperativi, Nowak vede come preponderante il meccanismo della reciprocità che si basa sulla reputazione: dal momento che è impossibile che ogni individuo possa conoscere per osservazione diretta quale sia stato il comportamento di altri individui in scambi intercorsi precedentemente con terzi, affinché si sviluppi un atteggiamento cooperativo è necessario che ogni individuo si crei una “reputazione” che descrive lo stato dei suoi precedenti rapporti interpersonali. Siamo, dunque, più propensi ad aiutare le persone che aiutano gli altri.

E allora, la competizione? Pensateci un attimo: quante probabilità avrebbero avuto 25 nostri antenati cacciatori di uccidere, ciascuno da solo, un mammouth? Sostanzialmente zero. Ma sappiamo dai ritrovamenti di ossa, invece, che squadre di homo sapiens capaci di collaborare fra loro catturavano e uccidevano con successo grandi animali preziosi per la loro carne, pelli e zanne. Se siamo arrivati fin qui è perché cooperiamo, non perché cerchiamo di correre più veloci del vicino di scrivania.

 

Ertilia Patrizii

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