CULTURA

Ascolta e ricorda - Shemà vezachòr

“Ascolta e ricorda”. Un titolo che ben si adatta alle iniziative che preparano la giornata della memoria e al suo senso, quello scelto dai curatori di un'antologia di letteratura yiddish ed ebraica di recente pubblicazione (*). Il volume, presentato recentemente a Padova, offre una rassegna degli autori yiddish ed ebraici più rappresentativi dei due secoli scorsi. È stata Adele Salzano, autrice della maggior parte dei saggi raccolti nell’ antologia, a presentare i passaggi nodali dell’opera (completata da alcuni contributi di sua sorella Teresa, e curata da Maurizio Del Maschio).

Dal dialetto alla lingua

Per parlare di letteratura yiddish bisogna prima parlare di yiddish, la lingua che ha permesso agli ebrei di mantenere compatto, per circa un millennio, il legame con la propria tradizione socio-culturale-religiosa ebraica, ma anche con la contemporaneità del mondo in trasformazione (i colti, i letterati che parlano e scrivono yiddish nell’Ottocento e nel Novecento, parlano e scrivono l’ebraico, il tedesco o le lingue slave). Si tratta di una lingua che, ai caratteri grafici dell’ebraico, aggiunge le vocali, mantenendo tuttavia la scrittura da destra a sinistra. Lo yiddish è il risultato della fusione degli elementi linguistici originari (ebraico e aramaico) con le lingue europee locali (il tedesco specialmente, e le lingue slave dell’Est Europa), conseguente ai flussi migratori di molti ebrei, dall’Italia e dalla Francia, verso le zone del Reno e della Russia, tra il IX e X secolo.

L’importanza della lingua yiddish è stata formalmente riconosciuta - ed elevata, quindi, dal rango di dialetto a quello di lingua - durante il Convegno di Czernowitz ( Ucraina), nel 1908. Dal linguaggio yiddish parlato, solo verso la metà del XVIII secolo, si incomincia ad avere una produzione letteraria vera e propria, se si escludono, ovviamente, i libri devozionali, o i racconti cavallereschi o  popolari, rivolti ai meno colti. È una  donna, Glückel von Hameln (1646-1724), ad avvalersi  per prima del linguaggio yiddish per scrivere le proprie Memorie. L’autrice, legando le sue difficili condizioni di vedova, e di madre di 14 figli, alla vita nella comunità ebraica di Amburgo, in realtà rappresenta il riferimento significativo di una quotidianità che diventa testimonianza.

I fondatori e i giganti

Se certo grande spazio trovano, in questa rassegna, i grandi autori delle letteratura ebraica, quali Isaac Bashevic Singer (che scrive in yiddish, traducendo le proprie opere in inglese), Fred Uhlman, Elias Canetti, Elie Wiesel, e, tra gli italiani, Primo Levi, interessante è tuttavia la considerazione di cui sono oggetto autori più difficili da ricordare. Tra questi i tre “padri fondatori” della letteratura yiddish: gli autori coevi Sforim, Peretz e Aleichem. Il bielorusso Mendele Mocher Sforim (lo pseudonimo Mendele significa “libraio ambulante”, dunque disseminatore di cultura di porta in porta), è il “patriarca”, morto nel 1916, che tanto si adoperò, con i propri romanzi brevi composti lungo tutta la metà dell’Ottocento, per far emancipare gli ebrei dallo shtetl, ossia dalla “piccola città”, dal microcosmo degli ebrei dell’est.

Il secondo importante caposaldo della letteratura yiddish, coevo di Sforim, è l’avvocato polacco Isaac Leib Peretz: tra i sostenitori della “lingua” yiddish al Convegno di Czernowitz, Peretz ha sentito fortemente il contrasto tra il tradizionalismo chassidico (caratterizzato dal fervore spirituale e dal misticismo) e le nuove tendenze del progresso laico nel mondo ebraico.

Il racconto scritto da Peretz, che Adele Salzano cita, è Devozione infinita o abnegazione: in esso si narrano le vicende della giovane sposa Miriam, che si fa mordere da un serpente per raggiungere nell’aldilà il suo amato sposo, cui era stato inflitto, quale castigo per un suo peccato d’orgoglio, di morire otto giorni dopo il loro matrimonio. Al trono del giudizio, tuttavia, i due sposi sono rimandati sulla terra, salvati entrambi dall’amore di Miriam.

Il terzo “padre fondatore” della letteratura yiddish è l’ucraino Sholem Aleichem, trasferitosi poi a New York dopo il pògrom  russo del 1905. Della sua produzione la Salzano cita in particolare Tewje il lattivendolo, considerato da Claudio Magris “un capolavoro della narrativa yiddish”.

Rappresentare il mondo yiddish, decidendo di scrivere nella lingua ebraica (come lingua del ritorno a Sion) è invece la scelta del premio Nobel (1966) Yosef Agnon, “il Proust della  letteratura ebraica”. La sua prima opera, E il torto diventerà diritto (1912), narra la storia di un commerciante che, d’accordo con sua moglie, lascia lo shtetl in cerca di fortuna. Tornerà, molto tempo dopo, ancor più povero, proprio quando si sta per festeggiare la circoncisione del bambino  che la moglie, essendo stata dichiarata vedova, ha avuto dal secondo marito. Il protagonista sceglie allora di non danneggiare la nuova famiglia, e vivrà mendicando fino alla morte.

Tra gli altri autori del XX secolo è citata  anche Lise Loewental con il suo romanzo Shalom, Ruth, shalom .

Valore aggiunto al volume delle sorelle Salzano è l’accurata bibliografia che accompagna ogni autore considerato: i riferimenti bibliografici includono, infatti, non solo la produzione letteraria, ma anche i relativi saggi critici.

Da notare anche lo spazio di riflessione affidato alle opere di tre goyim (gentili, non ebrei): Piero Stefani (cattolico, biblista), Annie Cagiati (studiosa di ebraismo) e Massimo Giuliani (docente di Studi ebraici all’Università di Trento), che, col loro punto di vista sul mondo ebraico, completano la composita rassegna, che include anche la presentazione di importanti studiosi, tra i quali, ad esempio, David Flüsser, noto per le sue ricerche sugli Esseni e sui Rotoli di Qumran.

Donatella Lombello

* Teresa Salzano, Adele Salzano, Ascolta e ricorda. Sguardo sulla letteratura ebraica dell’Ottocento e del Novecento, a cura di Maurizio Del Maschio, Lecce, PensaMultimedia, 2012

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