SCIENZA E RICERCA

Batticuore? Potrebbe non essere amore

Capita, a volte, che il cuore non batta in modo regolare. E non è amore, chiariamolo subito, ma una patologia ancora poco conosciuta dalla popolazione. “La fibrillazione atriale è una delle principali cause di ictus ischemico, perché porta alla formazione di coaguli nel sangue. Si tratta di una condizione che aumenta il rischio di ictus fino a cinque volte”. A spiegarlo è Mark Baker, del National Institute for Health and Care Excellence (Nice) del Regno Unito. “Circa 7.000 casi di ictus e 2.000 morti premature potrebbero essere evitate ogni anno attraverso una diagnosi efficace e la somministrazione di farmaci anticoagulanti”. Invece, solo la metà di coloro che dovrebbero essere trattati con questi medicinali lo sono. “È necessario cambiare questa situazione se vogliamo ridurre il numero di persone con fibrillazione atriale che muoiono inutilmente o soffrono di disabilità conseguenti a ictus”. A fronte di questa situazione, a giugno il Nice ha pubblicato le nuove linee guida per il trattamento della patologia in cui raccomanda, tra l’altro, la somministrazione dei farmaci anticoagulanti di nuova generazione, evitando invece l’uso dell’aspirina, come ancora in alcuni casi si tende a fare, per prevenire l’ictus.

La fibrillazione atriale è l’aritmia più comune, più frequente nelle persone anziane, responsabile da sola di circa un terzo di tutte le ospedalizzazioni per disturbi del ritmo cardiaco. Per quel che riguarda l’Italia, stando a uno studio condotto nel 2012, Italian Survey of Atrial Fibrillation Management, su un campione di 295.906 persone di età superiore ai 16 anni, 6.036 soffrivano di fibrillazione atriale. Proiettando il dato sull’intera popolazione del nostro Paese la percentuale di chi soffre della patologia è dell’1,85%. Una seconda ricerca condotta in collaborazione con il Censis dimostra tuttavia chesolo un terzo dei cittadini (su un campione di mille), sa cosa sia la fibrillazione atriale. Questo, sostengono gli studiosi, “è da ricondurre a verosimili carenze formative dei medici di medicina generale, punto di riferimento per l’informazione sanitaria”. Quanto alla terapia, invece, l’indagine evidenzia anche in Italia un sottoutilizzo degli anticoagulanti orali. 

“Sono in totale accordo con quanto sostenuto dal Nice – sottolinea Vittorio Pengo, docente del dipartimento di scienze cardiologiche toraciche e vascolari dell’università di Padova – Da anni sostengo che l’aspirina non abbia alcun effetto nella prevenzione dell’ictus ischemico causato dalla fibrillazione atriale”. E la fisiologia ci spiega perché. In presenza di fibrillazione atriale l’auricola di sinistra, cioè il prolungamento cavo di ciascun atrio del cuore, non si svuota bene e questo determina il formarsi di un coagulo, un trombo, che può dislocarsi fino a raggiungere il cervello. E, occludendo i vasi cerebrali, provocare un’ischemia. “I trombi – spiega Pengo – sono ricchi di fibrina, la sostanza che fa coagulare il sangue, e poveri di piastrine. Per questo il farmaco che può impedirne la formazione non è un antipiastrinico come l’aspirina, ma un anticoagulante che impedisce la formazione di fibrina”.   

La ragione per cui ancora si continua a somministrare l’aspirina è il timore delle complicazioni che derivano dagli anticoagulanti orali. Prima di tutto il rischio di emorragia cerebrale, che provoca una mortalità di circa il 50% dei casi. Prescrivere questo tipo di farmaci, puntualizza Pengo, è una grossa responsabilità per il medico che preferisce quindi, soprattutto negli anziani, dare l’aspirina. A ciò si aggiunga che gli anticoagulanti utilizzati finora (il cui principio attivo è il warfarin) hanno interazioni con il cibo e con i farmaci e necessitano dunque di un monitoraggio costante. Un prelievo ogni tre settimane per controllare che il farmaco sia nel range terapeutico corretto. Gli studi che dimostrano l’efficacia degli anticoagulanti orali rispetto all’aspirina non mancano. “Ed è stato rilevato che l’aspirina – spiega Pengo – oltre a non avere effetti per la prevenzione dell’ictus ischemico, può provocare emorragia cerebrale quanto il warfarin”.  

A Padova, nel complesso socio-sanitario ai Colli, il servizio di prevenzione e terapia della trombosi monitora 7.000 pazienti in cura con anticoagulanti. “Prendere questo tipo di farmaci è impegnativo per il paziente e in certi casi, quando una persona è fragile, può portare anche alla depressione”. Proprio per dare supporto al malato che si trova ad affrontare questo tipo di terapia, nel 1987 è stata fondata, tra gli altri da Pengo oggi nel comitato scientifico, l’associazione italiana pazienti anticoagulati (Aipa). Con l’obiettivo da un lato di collaborare con i medici e le istituzioni, dall’altro di accompagnare anche dal punto di vista psicologico i pazienti che “vivevano di solitudine assistenziale per scarsa conoscenza del problema da parte di tutti”. Non ultimo, scopo dell’associazione è anche fare informazione per una maggiore conoscenza della patologia.

Se questa era la situazione fino ad oggi, le cose potrebbero cambiare nella gestione terapeutica del paziente con fibrillazione atriale grazie all’introduzione sul mercato di nuovi farmaci, già da qualche anno in Europa e dal 2013 anche in Italia. “A differenza di quelli utilizzati finora – spiega Pengo – i nuovi anticoagulanti orali per la prevenzione dell’ictus ischemico nei pazienti con fibrillazione atriale non hanno bisogno di monitoraggio e presentano poche interazioni con cibo e altri farmaci”. Si tratta di tre medicinali che hanno come principio attivo rispettivamente l’apixaban, il dabigatran e il rivaroxaban e che potrebbero rendere la vita dei pazienti più facile.    

 Monica Panetto 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012