UNIVERSITÀ E SCUOLA

Biblioteche, quanto si spende davvero per le riviste scientifiche?

Per anni gli editori nei negoziati con le biblioteche accademiche hanno giocato al "dilemma del prigioniero" obbligandole a sottoscrivere clausole di riservatezza o patti di confidenzialità in accordi non pubblici, che di fatto si risolvono a vantaggio delle loro posizioni dominanti, a fronte di sconti estremamente limitati sulle pubblicazioni cartacee e on line. È questa la tesi sostenuta da  Jean-Claude Guédon, studioso canadese di scienze sociali, in un suo recente messaggio in lista di discussione del Centro Nexa, tradotto da Maria Chiara Pievatolo il 23 giugno nel Bollettino telematico di filosofia politica.

Nexa, su cui l'intervento di Guédon è apparso, è un punto di riferimento interdisciplinare europeo – tecnico, giuridico ed economico – e voce a livello internazionale su temi di Internet e i suoi effetti. Interagisce con le istituzioni europee, le Authorities, i governi sia locali sia nazionali, nonché con aziende e istituzioni attraverso iniziative come Communia, la rete tematica europea sul pubblico dominio digitale finanziata dall'Unione Europea e Lapsi, la rete tematica europea sulle informazioni del settore pubblico, anch'essa finanziata dall'Ue, in collaborazione col Berkman center for internet & society della Harvard University.

Quanto spendono i sistemi bibliotecari italiani per le riviste? si chiede nell'intervento alla base della discussione Pievatolo, docente di filosofia politica all'università di Pisa. Sembra una domanda semplice, ma la risposta non lo è affatto, per una serie di motivi che la studiosa elenca sul Bollettino. “Anche se molti sistemi bibliotecari di ateneo rendono pubblici i propri bilanci,  i dati italiani su questo fenomeno sono parziali, sepolti in formati poco amichevoli e non sempre freschissimi”. Non poter rivelare dati sui risultati dei negoziati, sulla reale portata delle clausole contrattuali, sui costi di abbonamento a pacchetti di riviste “all-inclusive” e/o a banche dati su piattaforme proprietarie e sulle modalità di accesso ai contenuti ha comportato la concreta impossibilità di consolidare attività di monitoraggio sui costi effettivi che un fronte comune, forte di una collaborazione orizzontale, avrebbe messo in luce.

A oggi, nell’era dell’accesso aperto ai dati, con i BigData a portata di mano, nonostante la trasparenza decantata da leggi e decreti degli ultimi mesi, conoscere la reale spesa nazionale per materiale bibliografico di ricerca rimane un’impresa titanica. Una soluzione a supporto della trasparenza e per l'applicazione dei decreti sui dati aperti potrebbe venire dalla deliberazione n. 26 del 22 maggio 2013 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 134 del 10/06/2013) che detta alcune prime indicazioni sull’assolvimento degli obblighi di trasmissione delle informazioni all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture sulla base dell’art. 1, comma 32 della legge 190/2012. Assieme alla deliberazione è stato reso pubblico anche il comunicato del Presidente del 22 maggio 2013 con le indicazioni operative e le specifiche tecniche per la pubblicazione dei dati.

La clausola di non-divulgazione imposta negli anni all'interno dei contratti era presentata ai sottoscrittori istituzionali come un privilegio ritagliato esclusivamente a vantaggio di quella specifica istituzione (università, ente di ricerca, biblioteca o sistema bibliotecario), grazie al quale ottenere, per esempio, un minimo sconto sul prezzo del pacchetto delle riviste di quell’editore – uno sconto che in mancanza della sottoscrizione della clausola di riservatezza non veniva accordato.

Ad oggi abbiamo dati parziali e presumibilmente poco attendibili, o meglio: in certe situazioni poco leggibili, malamente interpretabili, assemblati in aggregazioni non sempre lineari, difficilmente scorporabili da file pdf sepolti sotto montagne di documenti “liberati” alla rinfusa. La visione d'insieme, il confronto fra le condizioni accordate e fra le diverse situazioni, insomma, per le biblioteche è alquanto problematico. E, come i prigionieri del dilemma, di fronte agli editori sono nella condizione di dover decidere singolarmente, senza informazioni sufficienti e senza poter fare della condizione comune un fattore di solidarietà. Di converso, i grossi editori hanno potuto fruire del vantaggio di avere una facile visione “panottica” sulle biblioteche e loro istituzioni (e sulla ricerca che vi viene condotta).

Guédon usa volutamente il termine ”visione panottica” nel senso di Foucault, rielaborato dall'originale concetto di Bentham. Sarebbe ora, suggerisce, che le biblioteche reagissero e che cominciassero a sviluppare strumenti utili a ottenere visioni simmetriche altrettanto panottiche, cercando di riequilibrare la relazione tra editoria e ricerca, oggi fortemente sbilanciata a favore del mercato editoriale. Tale visione d'insieme può essere raggiunta attraverso la creazione di banche dati aperte, consultabili, fruibili, nelle quali rendere pubblici tutti i dati utili relativi a contratti e licenze d’uso, clausole, cessioni di diritti su contenuti e prezzi di abbonamento, editore per editore, con descrizioni dettagliate di quello che è stato ottenuto in termini di vantaggi a fronte di quanto pagato. Uno strumento che potrebbe essere costruito facilmente su base nazionale, e successivamente su scala più ampia.

Documentare i processi relativi alla spesa pubblica è ormai inderogabile, non è più possibile continuare nella pratica arbitraria di negoziati con dati “opachi”. Parlare di spesa pubblica relativa al materiale che le biblioteche acquistano significa parlarne su base nazionale, anche perché i budget per le acquisizioni saranno da ora in avanti sempre più distribuiti tra acquisizioni di materiale bibliografico e loro modalità di accesso. Di conseguenza, l'accesso aperto sarà una voce in bilancio dislocata lungo la via verde o la via d’oro e le allocazioni di finanziamento potrebbero gradualmente spostarsi sui versanti dell’Open access. In alcuni Paesi si ipotizzano già spostamenti nei budget assegnati per gli acquisti di un 5% iniziale e successivamente del 10% e così via… per forme di sostegno a riviste Oa, e/o pubblicazioni in modalità open, fino a ridurre gli attuali enormi flussi verso l’esterno incanalandoli verso la ricerca, e investendo in qualche grande iniziativa nazionale Oa. (Guédon suggeriva di creare in Italia un progetto simile al sudamericano SciElo).

In altri termini le biblioteche italiane, collettivamente, detengono un grande “deal”, e potrebbero avere una grande influenza nel cambiare le condizioni del mercato editoriale a favore della ricerca, il problema è che non hanno ancora trovato il modo di organizzarsi per sfruttare questa enorme potenzialità. Per questa ragione Pievatolo propone come primo passo un semplice sondaggio strutturato in sette domande rivolto ai sistemi bibliotecari delle università e dei centri di ricerca, per poter aggregare il maggior numero possibile di dati pertinenti.

Antonella De Robbio

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012