UNIVERSITÀ E SCUOLA

C’è un Paese dove i professori universitari guadagnano quanto i ministri. Non è l’Italia

La precarizzazione della docenza universitaria è un fenomeno che  caratterizza sempre più gli atenei americani. Negli ultimi quattro anni, la quantità di corsi universitari tenuti da professori non-tenure track (cioè precari senza reali prospettive di assunzione) è arrivata a toccare il 70% dell’intera offerta formativa delle università pubbliche statunitensi, la cui struttura è però molto diversa da quella delle università statali europee. “Pubblica”, negli Stati Uniti, è una università che riceve un finanziamento parziale dallo Stato, ma queste risorse sono in genere una parte minoritaria, spesso molto piccola, del loro bilancio, basato prevalentemente sulle rette elevate e sul fund-raising. I docenti precari, la cosiddetta contigent faculty, si dividono in lecturer e adjunct faculty. I primi insegnano a tempo pieno e, seppur prevalentemente inquadrati in contratti annuali, vengono pagati tra i 40.000 e i 55.000 dollari lordi annui: considerata una tassazione mediamente fra il 25% e il 30%, queste cifre significano una retribuzione al netto fra i 27.000 e i 42.000 dollari all’anno; in euro, fra i 20.000 e i 32.000.   I secondi, i paria del sistema universitario americano, sono insegnanti part-time, pagati esclusivamente per il corso che tengono. Poiché nelle università pubbliche statunitensi gran parte dei corsi valgono tre crediti, consistono di 45 ore di lezione e vengono pagati al docente circa 3.500 dollari lordi l’uno (2.700 euro), è evidente come un giovane accademico non strutturato debba sobbarcarsi un consistente carico di ore di lezione annuo per ottenere un reddito minimo di sopravvivenza. Non sono rari i casi di professori che tengono tre e anche quattro corsi, per un totale di 180 ore di insegnamento (oltre una volta e mezzo quelle di un docente italiano strutturato) raggiungendo così i 14.000 dollari lordi, circa 10.500 al netto (8.000 euro circa). Cifre che, negli Stati Uniti, significano rimanere vicini alla soglia di povertà relativa (che il Census Bureau poneva, per il 2011 e per una persona in età lavorativa e senza figli, a  11.702 dollari annui) ed avere potenzialmente diritto ai Food Stamps, i buoni del governo federale che permettono alle famiglie indigenti di acquistare generi alimentari.  Tuttavia si tratta di una situazione molto migliore di quella di tante università italiane, dove gli incarichi di insegnamento vengono messi a bando per poche centinaia di euro. 

A causa della crisi economica sono sempre meno le assunzioni a tempo indeterminato (tenure track) offerte dagli atenei americani. Ma a livello di trattamento economico, la situazione è ben più rosea rispetto a quella italiana. Sempre considerando soltanto le università pubbliche (escludendo quindi tutte quelle private di eccellenza quali Harvard o Stanford.), un assistant professor guadagna mediamente 78.000 dollari lordi annui, un associate professor 90.000 mentre un full time professor oltre 135.000 (al netto, 45.000, 51.000 e 78.000 euro). E si tratta quasi sempre di salari calcolati sulla base dei 9 mesi di anno accademico. Questo significa che il docente statunitense è libero di integrare il suo salario nei tre mesi di “pausa“, andando magari a tenere conferenze altrove, a insegnare all’estero o in una summer school. Il paragone con gli stipendi dei professori italiani è quindi stridente. Per fare un esempio, un professore associato a inizio servizio percepisce circa 34.000 euro lordi all’anno (che sono vicini ai 1.200 euro netti al mese) cioè poco più della metà  del suo omologo americano (nel senso di appartenente al livello più basso della docenza a tempo indeterminato). Più difficile il paragone con i compensi degli ordinari italiani, dove gli scatti di anzianità hanno un ruolo rilevante negli aumenti di stipendio. Secondo l’ultimo rapporto del CNVSU (Comitato Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario), l’età media di ingresso in ruolo per professore ordinario è stata di 51,4 anni nel periodo 2000-2010, con un picco di 58 anni nel 2008 e una tendenza ancora a crescere. Per cui è verosimile calcolare che i professori ordinari italiani possano attualmente maturare una anzianità media di una ventina d’anni circa, dati anche il massimo di 8 anni di riconoscimento della carriera pregressa e i 3 anni di inquadramento da professore “straordinario” a stipendio iniziale fisso. Pertanto lo stipendio lordo medio annuale di un ordinario italiano è attorno ai 90.000 euro all’anno, poco più di 7.000 euro lordi al mese (4.000 netti). Di nuovo, molto al di sotto degli omologhi americani. 

Per dare un’idea del rilievo sociale assegnato al lavoro del docente universitario, può essere utile mettere in relazione gli stipendi delle università con quelli della politica. Negli Stati Uniti un parlamentare percepisce 173.000 dollari lordi annui, cioè appena 10.000 dollari lordi in più all’anno di un full time professor della University of California di Los Angeles e 20.000 in più di un ordinario di Berkeley, che sono le due università pubbliche statunitensi dove pagano meglio (nelle università private d’elite i professori più prestigiosi spesso concordano privatamente il loro contratto e possono arrivare a guadagnare cifre anche molto più alte); i ministri di Obama hanno una retribuzione di 199.700 dollari lordi annui, non cumulabili con l’eventuale stipendio di parlamentare: rispettivamente, 30.000 e 40.000 dollari in più rispetto ai professori di prima fascia, per una forbice massima del 25% circa in più. In Italia, la retribuzione lorda di un deputato è, secondo i risultati della commissione Giovannini, di circa 16.000 euro al mese, che è molto più del doppio di quella di un professore ordinario italiano.

 

Marco Morini

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