UNIVERSITÀ E SCUOLA

Chi c'è, c'è. La scuola modello inglese

Per le strade di Oxford già da un po’ si son ricominciate a vedere scolaresche in uniforme: questa tradizione non è stata intaccata nemmeno sotto il governo di Tony Blair e difficilmente il governo liberal-conservatore di Cameron ci metterà mano. Accanto alle cravatte con i colori degli istituti, nel Regno Unito esiste un’altra tradizione legata alla scuola: la classe dirigente viene ancora selezionata dalle università di Oxford e Cambridge, e queste selezionano in base alla scuola superiore di provenienza.

Mentre in Italia la scuola pubblica periodicamente torna sulle barricate contro i tagli alla spesa per l'istruzione, nel Regno unito il modello privatistico continua ad essere quello dominante. Il livello delle scuola pubblica britannica è talmente basso che ogni anno aumentano le campagne a favore della scolarizzazione. La differenza si fa ancora più marcata con l’avanzare della carriera scolastica: la scuola pubblica sembra non riesca a mantenere il passo e sempre più famiglie del ceto medio-alto investono nelle scuole private.

Numeri, piuttosto impietosi, sono stati raccolti da Cristina Soffici su il Sole 24 Ore. Un bambino di 11 anni che esce dalla primaria pubblica ha lo stesso livello di preparazione di un bambino di 7/8 anni della privata. Molti non sono neppure in grado di leggere un libro per intero. Un terzo delle ammissioni di Oxford e Cambridge arrivano da sole 100 scuole del regno (circa il 3% del totale), di cui 87 private e solo 13 pubbliche. Ancor più espressivo il dato che negli scorsi tre anni vi siano stati più studenti ammessi dai cinque istituti scolastici più prestigiosi – con rette superiori alle 20.000 sterline all’anno – che da 2.000 altre scuole insieme.

Non si deve pensare, tuttavia, che la selezione sia puramente su criteri di reddito: in un’intervista il preside di Winchester, Ralph Townsend, dichiarava che una buona parte dei suoi studenti non viene da famiglie ricche, ma dal ceto medio disposto a far considerevoli sacrifici pur di dare ai propri figli le opportunità aperte da questa independent school.

Classe media che da pochi anni è stata chiamata a contrarre ancor più debiti anche per le tasse universitarie, completamente liberalizzate e arrivate, nell’indifferenza a critiche e manifestazioni, fino a 9000 sterline l’anno (cui si sommano a Oxbridge le rette dei colleges ai quali gli studenti debbono essere affiliati). Questa situazione accumuna 47 università su 123. Per i meno abbienti sono previsti mutui finanziati al 2,2/3%, che hanno ispirato anche alcuni economisti al di qua della Manica ad importare in Italia la stessa impostazione. Impostazione che, visto il calo delle iscrizioni in Inghilterra nell’ultimo anno, potrebbe andare contro l’obiettivo di innalzare la percentuale di laureati in Italia, già inferiore alla media europea,

Una scelta aristocratica imposta approfittando della crisi? Sicuramente la qualità e l’equità dell’istruzione nel Regno Unito possono essere oggetto di critiche; tuttavia l’accesso ai colleges di Oxford e Cambridge viene ancora percepito come veicolo di promozione sociale (oppure, secondo i maligni, di cooptazione). Probabilmente la classe media, o almeno quella medio-alta, sarà disposta a pagare per far studiare i propri rampolli sotto le guglie sognanti delle antiche università.

Accanto ai legittimi dubbi su quanto tutto ciò sia equo e compatibile con una società democratica che tende alla promozione sociale di tutti, vale la pena fare anche due riflessioni di ordine pratico. La prima, come ha osservato Antonio Nicita sul Fatto Quotidiano, è la spinta a un appiattimento della formazione su pochi profili professionali di moda. Scelta dettata in quel momento per ripagarsi i debiti da studio, con buona pace delle capacità di innovazione stimolate dall’originalità di pensiero e di professioni senza immediato ritorno economico. L’altra è che l’Inghilterra, e in futuro l’Europa, possano farsi contagiare dagli Stati Uniti dove i mutui contratti per studiare rischiano di far partire un'altra bolla di debito privato, dopo quella cui dobbiamo la crisi attuale.

Marco Barbieri

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