SCIENZA E RICERCA
Dalle cellule staminali una speranza per i piccoli malati

L’enterocolite necrotizzante è una malattia ischemico-infiammatoria dell’intestino dei neonati caratterizzata dall’insorgenza acuta, dopo la nascita, di una necrosi della parete intestinale. Nei casi più gravi, quando la necrosi interessa le anse intestinali a tutto spessore, causa perforazione intestinale, peritonite, compromissione multi organo, shock, che portano alla morte nel 30-50% dei casi. Una speranza, tuttavia, viene dalle cellule staminali del liquido amniotico.
La malattia. La patologia rappresenta la più frequente emergenza gastrointestinale e chirurgica in età neonatale. Nella maggior parte dei casi colpisce i neonati prematuri, nati prima di 36 settimane di gestazione o con peso inferiore a 2 chili. Poiché la sopravvivenza dei neonati con prematurità grave (quelli nati fra la 24° e la 28° settimana o con peso compreso fra i 400 grammi e 1 chilo) è andata progressivamente aumentando dagli anni Settanta ad oggi grazie ai progressi della neonatologia, l’incidenza dell’enterocolite necrotizzante è parallelamente aumentata nel corso degli ultimi anni.
La causa non è nota, tuttavia l’ipotesi è che abbia origine multifattoriale. La teoria patogenetica più accreditata sostiene che tre elementi principali (un evento ipossico-ischemico sistemico cioè un deficit di irrorazione di sangue arterioso, alimentazione con latte artificiale e un’anomala colonizzazione batterica dell’intestino) inneschino a livello dell’intestino ancora immaturo una risposta infiammatoria esagerata quanto inefficace che provoca la necrosi del tessuto intestinale. Allo stato attuale non è disponibile alcuna cura specifica per l’enterocolite necrotizzante e il trattamento è limitato a terapie mediche di supporto e alla rimozione chirurgica delle porzioni di intestino necrotico. L’asportazione di ampie porzioni di intestino può causare, nei bambini che sopravvivono, una sindrome da intestino corto con necessità di nutrizione parenterale permanente o di trapianto intestinale.
La scoperta. Condotto in collaborazione con il Great Ormond Street Hospital di Londra il nostro studio, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Gut, ha dimostrato che cellule staminali iniettate nella cavità peritoneale dei ratti malati (modello animale che riproduce la malattia umana) possono attivare la riparazione dell’intestino danneggiato da parte di cellule residenti. In particolare, si è potuto ottenere questo risultato solo utilizzando cellule staminali amniotiche, mentre ad esempio cellule staminali adulte derivate dal midollo osseo non hanno portato ad alcun risultato.
Con quest’ultimo studio, l’orizzonte terapeutico delle cellule staminali del liquido amniotico si amplia, dato che in questo modello di enterocolite necrotizzante le cellule non rigenerano direttamente il tessuto danneggiato ma attivano, attraverso molecole per ora solo parzialmente note, cellule staminali residenti nell’intestino che riparano e ricostituiscono un normale epitelio intestinale. Quest’azione, detta “paracrina”, permetterà l’utilizzo delle cellule staminali del liquido amniotico in maniera allogenica, cioè da donatore esterno, e quindi crediamo che i tempi per la loro applicazione clinica potranno ridursi notevolmente. È in corso la creazione di una banca di conservazione di cellule staminali amniotiche in good laboratory practice così da poter sperimentare la terapia sui pazienti con enterocolite necrotizzante nei prossimi due anni.
In questo momento, inoltre, dopo la sperimentazione sui ratti, si stanno verificando i risultati ottenuti sui grandi animali (maiali) e, parallelamente, si sta cercando di individuare il meccanismo di ricostituzione del tessuto intestinale, così da poter sostituire un giorno le cellule con i farmaci e rendere la terapia più sicura e meno costosa. Obiettivo, però, che richiede ancora del tempo.
Mara Cananzi, Michela Pozzobon, Martina Piccoli, Paolo De Coppi