CULTURA

De Felice sottovalutava l'antisemitismo fascista

L’attenzione alle matrici ideologiche e intellettuali di alcuni snodi della storia italiana del Novecento: è questa una caratteristica della storiografia di Angelo Ventura, che emerge anche ne Il fascismo e gli ebrei (Donzelli, 2013), raccolta dei suoi studi sulle leggi razziali del regime fascista, scritti tra il 2001 e il 2004.

Ventura cerca qui di individuare la genesi e l'elaborazione di quelle idee che saranno il presupposto dottrinale delle politiche della razza del regime fascista, tentando di evidenziare in particolare il passaggio dalle idee razziali alla legislazione antisemita e poi alla concreta persecuzione degli ebrei. Lavorando su quella che definisce la “svolta antiebraica” del regime fascista e sulle sue ricadute sull’università italiana, in due saggi distinti (La svolta antiebraica nella storia del fascismo e La persecuzione fascista contro gli ebrei nell’università italiana) forma un dittico che tiene assieme contesto generale (le teorie razziali) e conseguenze in contesti specifici (l’università).

Le leggi razziali furono la sintesi di un percorso che univa le radici disparate dell’ideologia fascista: dal nazionalismo di Corradini, ai discorsi mussoliniani dell’Ascensione (1927) e ai Bonificatori (1935), dall'antisemitismo cattolico alle politiche razziste e segregazioniste inaugurate con la proclamazione dell’impero e al Manifesto degli scienziati razzisti, per concludersi nella legislazione antisemita che complicherà ulteriormente la politica razzista del regime e consoliderà la sua natura totalitaria.

Nei suoi saggi lo storico mette in discussione le tesi di Renzo De Felice, ravvisandovi un limite decisivo nell’insufficiente giudizio complessivo sull'antisemitismo fascista: senza negarne la gravità, De Felice sembrava ridurre le leggi del 1938 e il razzismo di Stato a semplice allineamento con la Germania nazista. Ed è proprio dal libro di De Felice sugli ebrei sotto il fascismo che partono le considerazioni di Ventura, per sviluppare temi da questo lasciati in ombra o semplicemente accennati, come il contributo che cultura e scienza portarono alla produzione ideologica del razzismo.

Ventura mostra invece come il razzismo fu lo sbocco logico, anche se non necessario, di pulsioni presenti nel fascismo, pulsioni a cui dettero forma e giustificazione scienziati, letterati, giornalisti, accademici, insegnanti. 

Nella scuola e nell'università italiane le pesanti restrizioni dei diritti per gli ebrei italiani furono applicate con un’acribia burocratica senza precedenti – “in un paese in cui, anche sotto il regime fascista, era diffusa la tendenza a non osservare scrupolosamente le leggi, poche leggi furono applicate con tanto zelo come quelle che perseguitavano gli ebrei”, scrive Ventura. Con ricerche d’archivio e fonti legislative lo storico padovano,  infatti, insiste nel mettere in luce sia gli aspetti  burocratici nella persecuzione della presenza ebraica nell'università, sia il caos e l’improvvisazione della legislazione e le sue applicazioni (censimenti, circolari, informative, decreti e relative ricadute sconvolgenti sugli individui, le cui differenti reazioni – a mio parere – sarebbero una eccellente materia di studio). Ne è un esempio il lucido e partecipato saggio che Ventura dedica a Tullio Terni, docente e scienziato dell’ateneo padovano e alla sua condizione “anfibia” di ebreo e iscritto al partito fascista.

Il razzismo italiano non voleva essere e non fu un razzismo d'importazione. Vi era, infatti, una elaborazione tutta nazionale del razzismo da parte di intellettuali, accademici e propagandisti. L'università di Padova contribuì in modo attivo non solo all’applicazione della legislazione antisemita, ma avviò inoltre una sorta di pedagogia razzista elaborando lezioni e orazioni imperniate su concetti vaghi come razza, stirpe, superiorità razziale, con docenti che si prestarono consapevolmente a discutere e a trasmettere concetti privi di senso e scientificità (ma dagli effetti micidiali). Si pensi a Gaetano Pietra, preside della facoltà di scienze politiche, al rettore Carlo Anti ma anche alle conferenze razziste – segnalate da Ventura – di Marino Gentile (titolare della cattedra di filosofia teoretica fino al 1976). Ma si potrebbero aggiungere le meditazioni, sempre di Gentile, sul “valore della razza italiana” che si affermava in Etiopia.

Nelle università italiane uomini compromessi pesantemente con il regime in molti casi subirono epurazioni ridicole e contraddittorie; in altri casi si tentò di negare il passato, in altri ancora vi fu  l’assoluta incapacità di qualsiasi autocritica. Ma, alla fine, nella generalità dei casi, tutti transitarono indenni nella fase repubblicana delle università e ripresero le lezioni come niente fosse. Come scrive Ventura: “sulle loro cattedre restavano indisturbati, o vi ritornavano dopo breve sospensione, i professori razzisti, e quanti si erano compromessi nella campagna antisemita, conservando posizioni di potere nel mondo accademico”. Rimuovendo così una pagina cupa della storia nazionale.

Sebastiano Leotta

In una tavola rotonda, il 26 marzo alle ore 17 , in Aula magna del Bo, saranno presentati i volumi Il fascismo e gli ebrei, di Angelo Ventura e L'università dalle leggi razziali alla Resistenza, a cura di Angelo Ventura. 

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