UNIVERSITÀ E SCUOLA

Docenti o poliziotti? Le università inglesi di fronte alla stretta sull'immigrazione

Nel Regno Unito si è ormai in pieno periodo pre-elettorale e la questione che più anima il dibattito politico è quella relativa all’immigrazione. Mancano infatti meno di quattro mesi alle elezioni europee e poco più di un anno alle elezioni politiche del 2015. Inoltre nel 2017, nel caso in cui il prossimo anno vengano confermati David Cameron e il suo governo guidato dai conservatori, si terrà un referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione europea.

Accanto alle scadenze elettorali, altri fattori hanno ulteriormente posto l’accento sul tema dell’immigrazione, spingendo il governo Cameron a intervenire. Primo fra tutti, l’exploit degli ultranazionalisti dello Ukip alle ultime elezioni amministrative e la crescente popolarità del loro leader, il populista Nigel Farage. Il timore dei conservatori è quello di perdere consenso nelle aree rurali del paese, loro tradizionali bacini di consenso. Per dare risposte a quegli elettori che possono essere attratti dalle proposte di Farage, il governo britannico ha reso più difficile per le persone provenienti dall'esterno della comunità europea trasferirsi nel Paese, ha deciso di modificare in senso restrittivo l’accesso degli stranieri ai servizi sociali e ha avviato un’imponente azione di monitoraggio dei sussidi familiari e di disoccupazione e dei visti d’ingresso fin qui concessi. Tra le misure in via d’introduzione vi è inoltre l’obbligo per i locatori di controllare lo status “migratorio” dei loro affittuari, compresi i contratti in essere, e quindi di informare le autorità al riguardo.

Anche le università sono coinvolte in questa politica di controlli, e molte sono sotto osservazione per le modalità di reclutamento degli studenti extracomunitari. L’accusa è che – complice anche la larga parte del finanziamento degli atenei che si basa sulle tasse universitarie – per anni non solo sedicenti scuole d’inglese ma anche riconosciute università pubbliche e private abbiano permesso a cittadini stranieri di iscriversi ai corsi di studi più o meno fittiziamente, al solo scopo di ottenere il permesso di soggiorno. Nella pratica, gli atenei si trovano a dover soddisfare tutta una serie di richieste di controllo e verifica dello status dei loro studenti stranieri da parte delle autorità, cui sono tenute a riferire. Una situazione in larga parte inedita, e che contrasta grandemente con la tradizionale autonomia delle università, consuetudine profondamente radicata in Gran Bretagna come in tutti i Paesi europei.

La questione è venuta prepotentemente alla ribalta proprio nei giorni scorsi, quando 160 docenti universitari hanno sottoscritto e inviato al Guardian un appello in cui lamentano come i loro atenei si stiano trasformando in “avamposti di polizia” e che le ultime normative richiedano alle università di effettuare controlli sempre più invasivi sugli studenti stranieri. In particolare, i docenti contestano l’obbligo di monitorare l’effettiva frequenza in classe e il rispetto degli incontri programmati coi rispettivi tutor da parte dei soli studenti extracomunitari. Nella lettera si fa riferimento anche agli scan biometrici e all’obbligo di firma elettronica che saranno introdotti nell’intento di verificare sempre meglio l’identità degli studenti stranieri, con una evidente serie di discriminazioni tra studenti comunitari ed extracomunitari. Avvisaglie della situazione si erano avute già nell’estate di due anni fa quando la London Metropolitan University, a seguito di un’inchiesta condotta dal Department of Immigration che aveva evidenziato come la stessa avesse elargito degli student visa a dei candidati non idonei, aveva perso il suo status di “sponsor” per oltre un anno, causando parecchi problemi burocratici anche a coloro che erano stati immatricolati regolarmente.

La situazione è paradossale: appena un paio d’anni fa, a seguito dei tagli al finanziamento pubblico e all’incremento delle rette universitarie, il governo conservatore aveva implicitamente invitato gli atenei a fare sempre più affidamento alla loro capacità di attrarre studenti stranieri. Sia come fonte di finanziamento per le università, che come fattore di prestigio per le stesse e di arricchimento per l’economia britannica in generale. E dopo 16 mesi di contrazione nelle iscrizioni, media e politica avevano salutato con gioia il dato pubblicato a dicembre 2013, che mostrava un incremento del 7% nella richiesta di visti di studio. Queste nuove misure sugli studenti extraeuropei parrebbero quindi andare in direzione opposta, con il rischio molto concreto, oltre che limitare l’autonomia degli atenei, di minare anche il rapporto di fiducia tra studenti e università. Una risorsa essenziale della vita accademica che, una volta dispersa, potrebbe essere difficile ricostruire.

Marco Morini

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