UNIVERSITÀ E SCUOLA

E le università divennero private. L’eredità della Thatcher

Il decisionismo di Margaret Thatcher, positivo o negativo che lo si giudichi, ha investito e trasformato anche le università britanniche, cambiandole per sempre.

Sebbene la “lady di ferro” sia stata ministro dell’istruzione del governo di Edward Heath dal 1970 al 1974, gran parte della sua spinta riformatrice venne messa in atto durante i suoi 11 anni da primo ministro, fra il 1979 e il 1990. La sua visione su scuola e università venne certamente influenzata dall’esperienza personale: soddisfatta dagli anni di grammar school trascorsi a Grantham, Thatcher fu abbastanza critica sugli studi fatti a Oxford (il futuro leader conservatore studiò chimica al Somerville College): non tanto della qualità dell’insegnamento, quanto dell’organizzazione dell’ateneo, giudicata inefficiente e antieconomica. Thatcher pensava che le università non fossero in reale competizione tra loro e fu tra le prime a pensare che occorresse creare un vero “mercato” universitario. Durante i suoi primi anni di governo criticò anche la scarsa trasparenza nell’assegnazione dei fondi di ricerca e introdusse più stringenti criteri di accountability.

Le sue misure, ispirate all’introduzione di criteri di mercato anche in settori che fino ad allora avevano principi di funzionamento molto differenti, come l’istruzione, furono spesso controverse. La direzione era però chiara fin dall’adozione, da ministro dell’istruzione, di un provvedimento fortemente simbolico e che produsse grande impressione: l’abolizione  del bicchiere di latte cui i bambini delle elementari avevano diritto entrando a scuola. La prima riforma che sollevò le proteste del mondo accademico giunse nel 1981, quando da primo ministro decise di introdurre costi di iscrizione per gli studenti stranieri. Fino ad allora, sebbene l’accesso ai corsi di studi fosse spesso molto selettivo, gli studenti stranieri studiavano praticamente gratis. Nelle università britanniche si organizzarono manifestazioni e scioperi e i leader studenteschi e sindacali predissero un crollo del numero di studenti stranieri. Cosa che effettivamente accadde nei primi anni, ma già dal 1985 le iscrizioni ripresero a gonfie vele, e ormai da molto tempo le rette pagate da studenti non britannici costituiscono una risorsa vitale per quasi tutti gli atenei del Regno Unito. La seconda grande riforma fu quella dell’eliminazione del trasferimento automatico di fondi pubblici all’università. Thatcher introdusse il Research Assessment Exercise, una serie di misure atte a responsabilizzare i singoli atenei e a conferire fondi di ricerca solo sulla base di criteri meritocratici. Di fatto, le politiche della Thatcher hanno dato origine al sistema universitario britannico così come lo conosciamo oggi: una gestione privatistica, affidata a potenti consigli d’amministrazione che dirigono le università con logiche manageriali ma che in alcuni casi hanno garantito il raggiungimento di eccellenze invidiate in tutto il mondo.

La forza delle politiche thatcheriane è dovuta anche al fatto che i suoi successori (con la parziale eccezione di Gordon Brown) hanno proseguito nella strada da lei intrapresa. Non soltanto i conservatori Major e Cameron quindi, ma anche Tony Blair hanno insistito sulla libera competizione tra università, in una logica mercatistica ben definita, e portato avanti il graduale ritiro dello stato dall’organizzazione, dalla gestione e dal finanziamento diretto degli atenei. È di appena un paio d’anni fa la decisione del governo Cameron di alzare ulteriormente le rette universitarie, provvedimento che scatenò rivolte di studenti e professori ma su cui il governo conservatore non fece marcia indietro.

Quel che è certo è che la figura della lady di ferro ancora polarizza i giudizi di osservatori e accademici. Nel 1985, proprio a Oxford, l’ateneo dove Thatcher studiò, una rivolta di docenti bloccò l’assegnazione di una laurea ad honorem all’allora primo ministro. All’epoca la decisione del collegio dei docenti fece molto scalpore poiché la Thatcher fu il primo capo di governo britannico del dopoguerra a cui venne rifiutata una simile onorificenza. Una situazione simile potrebbe presentarsi di nuovo quest’anno, dopo che si è sparsa la voce che Wafic Said, miliardario di origine siriana che ha donato 15 milioni di sterline per la costruzione di un nuovo edificio della Said Business School (esclusivo corso di studi nato da una sua precedente donazione di 23 milioni), vorrebbe che la nuova struttura fosse intitolata a Margaret Thatcher, di cui era estimatore e amico personale. Al riguardo, le regole interne sono chiare: chi contribuisce economicamente per almeno il 51% alla costruzione di un nuovo edificio universitario ha la possibilità di avanzare una proposta ufficiale per l’intitolazione, ma questa deve essere poi ratificata dal collegio dei docenti, composto da oltre 3.000 professori di tutti i college. La comunità accademica si è ovviamente divisa: alcuni intellettuali come lo storico Niall Ferguson si sono detti favorevoli, altri hanno annunciato battaglia e dichiarato la volontà di bloccare questo tributo alla Thatcher ricorrendo nuovamente al voto negativo del comitato dei docenti.

La contesa, in questo caso, va però oltre la memoria della defunta primo ministro. Ci sono infatti anche polemiche sull’opportunità di accettare simili donazioni da ricchi e discussi imprenditori. Nel caso specifico, Wafic Said è un 72enne attivo in numerosi business, tra cui soprattutto il petrolio, e molto vicino alla famiglia reale saudita. Nel 2001, quando venne inaugurata in pompa magna la sua business school vi furono proteste studentesche e alcuni docenti rifiutarono di andare a insegnarci. La critica sostiene che le università dovrebbero essere molto caute nell’accettare queste donazioni e soprattutto nel mettere a disposizione intitolazioni a propri edifici e corsi ed elargire onorificenze. L’idea è che questi “benefattori”, quando non abbiano già profili discutibili di per se, non siano comunque animati da reale spirito filantropico, ma che cerchino solo di accreditarsi definitivamente presso i più esclusivi circoli sociali e intellettuali d’oltremanica.

Il dibattito è particolarmente acceso e riguarda molte delle più prestigiose università inglesi. Solo pochi anni fa la London School of Economics fu travolta dalle polemiche per aver accettato donazioni dalla famiglia Gheddafi e per aver concesso presunti diplomi “facili” a membri della famiglia del defunto dittatore libico.

Non sorprende, tuttavia, che la persistente eredità del thatcherismo abbia a che fare anche con queste controverse donazioni. Per mantenere alti gli standard di insegnamento e ricerca e stante il “ritiro” dello stato, le migliori università britanniche sono infatti spesso “costrette” ad accettare i soldi di questi munifici parvenus dell’economia globale, con tutte le conseguenze del caso.

Marco Morini

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