SOCIETÀ
Elezioni americane: come i miliardari vogliono sbarazzarsi di Obama
Soldi, soldi, soldi: questa sembra essere l’unica cosa che conta nella campagna elettorale americana. Come avviene ormai ogni quattro anni, anche le elezioni del 2012 supereranno i record di spesa delle precedenti. Nel 2008 una sorpresa importante fu il successo di Barack Obama nella raccolta di fondi on line e nello straordinario numero di donazioni anche di pochi dollari ricevute da singoli cittadini. Nel 2012, la principale novità sono i cosiddetti SuperPACs, cioè quelle organizzazioni pseudoindipendenti che raccolgono fondi al di fuori dei partiti e dei candidati senza essere vincolati dalle rigide regole di trasparenza in vigore fino a due anni fa. Una controversa sentenza della Corte Suprema del 2010, la cosiddetta Citizen United, ha infatti eliminato ogni restrizione ai contributi che questi gruppi possono raccogliere da cittadini, associazioni e imprese. L’unica condizione è che i gruppi indipendenti non finanzino candidati e partiti durante le campagne elettorali. Tuttavia, il trucco messo in atto dai SuperPACs per influenzare l’esito di voto senza violare la legge è molto semplice: anziché appoggiare direttamente un candidato finanziandolo, essi lo “affiancano” nella strategia comunicativa, rafforzando e moltiplicando i messaggi del partito, in particolare attaccando il candidato avversario.
Poiché prima di aver formalmente accettato la candidatura i candidati non possono spendere il denaro che hanno raccolto direttamente, il ruolo dei gruppi indipendenti diventa assai rilevante proprio nel periodo che va dalla fine della campagna per le primarie alle convention di partito di fine agosto. E, al momento, sembrerebbe essere Mitt Romney colui che ha beneficiato maggiormente di questa deregulation. Questo grazie a un network di organizzazioni filo-conservatrici che fa capo ad American Crossroads, un comitato indipendente fondato da Karl Rove, che ha già raccolto 400 milioni di dollari, una cifra superiore all’intero budget che era a disposizione del candidato repubblicano John McCain quattro anni fa.
Il capo di American Crossroads è Carl Forti, che fu già assistente di Rove durante la vittoriosa campagna presidenziale di Bush del 2004. Forti è titolare di uno studio di consulenza legale, il BlackRock Group, che condivide gli uffici con l’agenzia Crossroads Media, la stessa che ha acquistato spazi televisivi per tutti i gruppi filoconservatori in oltre 40 campagne elettorali per il Congresso. Tutta la carriera di Forti si è sviluppata negli ambienti repubblicani, dentro e fuori gli staff ufficiali delle campagne elettorali. E questo lo accomuna ai due fondatori di Restore Our Future, un altro importante gruppo conservatore: anche Charles Spies e Larry McCarthy lavorarono per Romney nel 2008. Forti presiede inoltre il cosiddetto Weaver Terrace Group, che non è altro che un coordinamento di tutti i maggiori comitati indipendenti conservatori, come American Action Network e anche comitati politici di più lungo corso come Americans for Tax Reform e la Republican Jewish Coalition. Secondo il New York Times è proprio in questa sede che tutti i gruppi indipendenti filo-repubblicani decidono come spendere il denaro raccolto. Il ruolo e la storia personale di Forti sono quindi cruciali per capire come in realtà i SuperPacs non siano altro che estensioni delle campagne ufficiali dei candidati, utili per aggirare le regole di finanziamento elettorale a beneficio dei candidati che raccolgono maggiori finanziamenti da Wall Street.
American Crossroads e i suoi affiliati hanno già prodotto una serie di spot televisivi anti-Obama trasmessi da aprile in 17 stati e costati oltre 35 milioni di dollari. Inoltre, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto sono stati spesi altri 9 milioni in propaganda televisiva destinata ai nove stati dove l’esito elettorale è più incerto. Qui Obama viene accusato di calunniare Romney con le sue critiche al candidato repubblicano per i legami con il gruppo Bain e per il ruolo avuto dalla società nello scoppio della crisi economica del 2008. In pratica, viene ripresa integralmente la difesa della campagna ufficiale repubblicana agli attacchi di Obama. E questo è solo uno dei numerosi esempi di come i gruppi indipendenti sappiano sincronizzarsi con la campagna del candidato senza violare le leggi federali, che proibirebbero espressamente ogni forma di coordinamento. Romney si sta dimostrando più abile di Obama nell’aggirare la normativa e l’aiuto di questi SuperPACs potrebbe rivelarsi decisivo.
L’organizzazione di Barack Obama non è certo rimasta a guardare e, secondo i dati della Federal Election Commission, nell’ultimo anno e mezzo ha speso una cifra complessiva vicina ai 400 milioni di dollari. Ma lo staff democratico ha scelto una strategia molto diversa da quella dei repubblicani. Gran parte degli investimenti è stata infatti destinata alle operazioni di registrazione degli elettori, all’assunzione di personale nelle sedi locali del partito, alla formazione dei volontari e all’organizzazione di eventi sul territorio. Alla realizzazione e alla trasmissione di spot elettorali televisivi e via web sono stati destinati “appena” 86 milioni di dollari. L’idea della campagna democratica è quella che ci voglia tempo nel convincere gli indecisi e nel ristabilire relazioni di fiducia con alcuni dei propri elettori insoddisfatti dei primi quattro anni di amministrazione Obama. Il timore è che gli sforzi dei democratici vengano resi vani dalla valanga di spot elettorali con cui Romney è pronto a invadere le televisioni in settembre e in ottobre.
Marco Morini