SCIENZA E RICERCA

Epatite C: nuove terapie, nuovi rischi

Due nuovi farmaci e una piattaforma informatica per monitorarne la somministrazione. È ciò su cui possono contare i pazienti (ma soprattutto i medici) da qualche mese a questa parte per il trattamento dell’epatite C, con il placet dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) di questi giorni. 

“L’epatite C – spiega Giorgio Palù, direttore del dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova, centro di riferimento virologico regionale – è una malattia che conta circa 170 milioni di malati al mondo, pur con considerevoli differenze nella distribuzione. In Italia le persone colpite sono circa un milione e mezzo”. Si tratta di una malattia cronica nel 75% dei casi e principale causa di cirrosi e tumore al fegato. I due nuovi farmaci (Boceprevir e Telaprevir) da poco in commercio vengono utilizzati per il trattamento dell’infezione da genotipo 1 del virus dell’epatite C (Hcv – 1), il più diffuso nel nostro Paese, e somministrati in associazione alla tradizionale terapia con interferone e ribavirina. 

La cura tuttavia, battezzata col nome di “triplice terapia”, ha anche un rovescio della medaglia. Se da un lato infatti si dimostra efficace, pur con significative differenze da paziente a paziente, perché per la prima volta va a colpire direttamente il virus, dall’altro presenta effetti collaterali importanti come l’aumento della tossicità midollare e dell’anemia cui si associa spesso anche una diminuzione dei leucociti (leucopenia) e delle piastrine (piastrinopenia). A ciò si aggiunga che la terapia prevede l’assunzione di un numero elevato di compresse al giorno, dalle 6 alle 12 a seconda del farmaco, associate a un pasto “grasso” (un problema per chi soffre di epatite) e che mancano protocolli d’uso formalizzati, se si escludono le linee guida nazionali e internazionali. “Questo tipo di cura inoltre – sottolinea Palù – deve essere somministrato a un particolare stadio della malattia che non sia iniziale né troppo evoluto, ragion per cui non tutti i pazienti possono essere sottoposti al trattamento”. A fronte di tutto ciò si intuisce la complessità nella somministrazione del farmaco e la necessità di un monitoraggio continuo del paziente.  

“Per aiutare i medici a gestire il trattamento con i due nuovi farmaci – spiega Franco Noventa ideatore con Alfredo Alberti della nuova piattaforma informatica ed entrambe docenti del dipartimento di medicina molecolare – abbiamo ideato un sistema di gestione guidato della terapia. Prima l’abbiamo formalizzato attraverso ‘algoritmi decisionali’, cioè una serie di schemi che illustrano come orientarsi nella somministrazione della cura, convertito poi in una piattaforma on line”. Si tratta di un progetto per “ottimizzare la triplice terapia, attraverso un sistema di monitoraggio degli outcome” (acronimo “Ottimo 2013”), frutto della collaborazione tra il dipartimento di medicina molecolare di Padova, la Medicina generale dell’azienda ospedaliera di Padova, l’Istituto veneto di medicina molecolare (Vimm) e l’associazione Quovadis. Oltre, naturalmente, alla Regione Veneto.  

Per chi volesse avere un’idea di come funziona l’algoritmo è sufficiente visitare il sito dell’Aifa che ne propone una navigazione facilitata. I  medici che utilizzano la piattaforma attraverso la propria password inseriscono nel sistema i dati del paziente in forma anonima (aggiornati di mese in mese ad ogni visita di controllo) e, rispondendo a una serie di domande poste dal sistema stesso, ottengono il suggerimento della linea da seguire nella terapia.  

“Il progetto – sottolinea Noventa – intende suggerire soprattutto un “atteggiamento”, in linea con il principio di far continuare la terapia solo a chi ha una buona possibilità di riuscita”. Si consiglia cioè di interrompere la cura se il paziente ha una risposta alla terapia che predice un fallimento, sia per non sottoporlo a rischi inutili, sia per non gravare sul sistema sanitario nazionale. Un modo, questo, per ottimizzare il rapporto rischio/beneficio, ma anche costo/beneficio, se si tiene conto che un ciclo di terapie (che va dalle 36 alle 48 settimane) di un solo paziente costa al sistema sanitario circa 20.000 euro. Questi, moltiplicati per i circa 600 pazienti che in Veneto nel 2012 sono stati individuati con un alto livello di priorità per la cura con triplice terapia, porterebbero a una spesa complessiva di 12 milioni di euro. La Regione ha stabilito che siano i centri dei capoluoghi di provincia (con una affluenza maggiore), cosiddetti “Hub”, a prescrivere i nuovi farmaci e a farsi carico del paziente. A questi faranno riferimento i centri minori, chiamati “Spoke” che non possono prescrivere autonomamente i farmaci. 

Punto di forza dell’intero progetto è proprio la rete stabilita a livello regionale tra le diverse strutture sanitarie, sia attraverso riunioni in presenza sia con la nuova piattaforma informatica che prevede anche il confronto tra medici via simil-chat. Si tratta di un modus operandi che consente una gestione condivisa dell’esperienza clinica tra i medici distribuiti nel territorio e di un modello che potrebbe essere utilizzato per altre patologie e altri farmaci.

Le possibilità terapeutiche per la cura dell’epatite C, tuttavia, non si fermano qui. Recentemente è stata infatti approvata la procedura d’urgenza per ulteriori nuovi farmaci che presentano meno effetti collaterali rispetto agli ultimi due in commercio, con un costo però per il sistema sanitario stimato intorno ai 50.000 euro a paziente.

Monica Panetto  

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