SOCIETÀ

Facebook, arriva il primo "Rapporto trasparenza"

Anche Facebook si dota di un Rapporto trasparenza, seppur ancora embrionale rispetto all’articolato e ricchissimo strumento messo a disposizione, ormai da qualche anno, da Google. Questo primo nucleo di dati che compone il primo Rapporto Trasparenza di Facebook può essere paragonato alla terza sezione del Rapporto Trasparenza di Google, incentrata sulle cifre relative alle richieste di dati degli utenti pervenute agli amministratori del social netvork da parte di autorità governative e tribunali. Interessante il confronto tra i dati pubblicati dai due provider su questa particolare “fetta” di informazioni.

Il lancio dell’operazione trasparenza di Facebook, con la pubblicazione delle prime informazioni, relative al semestre gennaio-giugno 2013, è avvenuto in agosto 2013, a seguito del dibattito sugli standard da adottare per il trattamento delle richieste provenienti da enti governativi e relative a dati degli utenti, nel corso di indagini ufficiali.

Il report, che secondo quanto affermato si doterà di altre sezioni - manca per esempio tutta la parte sulle violazioni copyright, le rimozioni, le interruzioni di servizio per ciascun Paese - per il momento mette a disposizione informazioni su:

  • I Paesi che  hanno chiesto a Facebook informazioni sugli utenti del social network
  • Il numero di richieste ricevute da ogni Paese
  • Il numero di utenti o di account utenti specificati nelle richieste
  • La percentuale di richieste per le quali, ai termini di legge, Facebook ha dovuto rilasciare dati

I dati resi pubblici dal social network – ma non scaricabili per un riuso o/e rielaborazione come invece tutti i dati di Google - per ora sono limitati alle sole richieste di informazioni sugli utenti presentate da "enti governativi", che nel complesso hanno superato le 25.000 domande. Quasi la metà, circa 12.000 richieste sono state inoltrate dagli Stati Uniti, formulate per motivi di sicurezza nazionale e di indagini sulla criminalità, e hanno ricevuto informazioni in risposta da Facebook nel 79% dei casi. Seconda in classifica l'India con oltre 3.000 richieste, accolte nella metà dei casi, quasi 2.000 dalla Gran Bretagna e poco meno dalla Germania. Dall'Italia sono giunte oltre 1.700 domande, accolte nel 53% dei casi. 

Il rapporto è corredato da linee guida dedicate ai rappresentanti delle forze dell'ordine che vogliano ottenere dati da Facebook su account specifici, informazioni che il social network rilascia – a suo dire - nel rispetto delle condizioni di servizio e delle leggi applicabili: fra queste, in primo luogo il Federal Stored Communications Act statunitense, in quanto i server si trovano appunto negli Stati Uniti. 

Se parte delle richieste della polizia sono fondate su solide motivazioni per combattere terrorismo o criminalità, le recenti vicende scaturite a seguito dello scandalo Snowden del giugno scorso hanno messo in luce come i big della rete collaboravano da tempo con le agenzie nazionali di sicurezza Usa invadendo la privacy dei cittadini a loro insaputa. È inevitabile pensare che il bisogno di rendere noti tali dati sia da ricondursi a queste vicende, considerato anche che qualche giorno fa è stato reso noto che la National Security Agency ha concesso ai colossi della Rete un sostegno economico per partecipare al programma di monitoraggio delle informazioni e dei dati scambiati online da Prism. 

Una collaborazione dai confini tanto imprecisati, nelle notizie diffuse a margine del caso Snowden, da indurre il social network a precisare la propria posizione rivendicando una policy più rigorosa possibile: come scrive anche Repubblica, Colin Stretch, il vicepresidente di Facebook, ha dichiarato che numerose sono le richieste che vengono respinte in particolare quando sono eccessivamente ampie o vaghe o se presentano carenze giuridiche. Ha aggiunto anche che spesso il social network non ha dati a sufficienza, condividendo solo il nome dell’account sospetto.

"Come evidenziato nelle scorse settimane, gestiamo tutte le richieste di dati provenienti dagli enti governativi attraverso procedure molto rigorose – ha affermato Stretch - Siamo convinti, infatti, che questo processo rappresenti una misura a protezione dei dati dei nostri utenti e imponga agli organi governativi di inviare richieste per l'ottenimento di informazioni sugli utenti complete e altamente conformi dal punto di vista giuridico.

Antonella De Robbio

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