SOCIETÀ

Francia: le tasse ingabbiano lo stato sociale

Poco importa il periodico riaffiorare delle velleità di grandeur: ad esempio sulla questione siriana, dove il presidente Hollande – nonostante la République abbia a suo tempo sponsorizzato il regime degli Assad – si mostra addirittura più interventista degli americani. Da tempo infatti si parla della Francia come del “grande malato d’Europa”, voci rinforzate già l’anno scorso dal downgrade del debito francese e dall’ammissione, all’inizio di quest’anno, che il governo non sarebbe riuscito a contenere entro il 3% il deficit per quest’anno.

Poi ci si è messa la stampa internazionale: France's future. A country in denial ha titolato l’Economist, imputando alla classe politica transalpina di voler chiudere gli occhi di fronte alla crisi, con l’obiettivo di non mettere mano al generoso sistema di welfare. Forse, a vedere le ultime previsioni OCSE sulla crescita, non è stata una scelta sbagliata; intanto, però, la pressione fiscale è aumentata fino a toccare, secondo i dati del ministero delle Finanze citati dal quotidiano Le Monde, la soglia record del 46,3% rispetto al Pil. In Italia, per fare un esempio, siamo al 44,2%, secondo i numeri recentemente diffusi dalla Cgia di Mestre.

La pressione fiscale francese, partita dal 34% del Pil intorno agli anni Settanta, è stata stabilmente superiore al 42% a partire dal 1993. Al culmine della crisi nel 2009 il valore era stato leggermente ridotto per favorire una rapida reazione allo shock finanziario, ma da allora è salita sempre più, a causa dei limiti di bilancio imposti dall’Europa per fronteggiare un debito pubblico ormai intorno al 90% del Pil. Il risultato è che negli ultimi due anni ci sono stati 84 interventi, tra nuove tasse e rialzi, che hanno portato a circa 63 miliardi di euro di maggiori entrate. Ottenute, tra l’altro, con una congerie di norme che ha complicato ulteriormente il sistema fiscale, riducendone al contempo la progressività (visto che spesso gli aumenti non tenevano conto del reddito del singolo contribuente).

Un colpo duro per un’economia che, come in molti altri paesi europei, si dibatte ancora tra stagnazione e tentativi di reagire. Ed è forse anche per questo che i francesi si mostrano pessimisti rispetto alle prospettive di ripresa: secondo una ricerca del Pew Research Center infatti appena l’11% di loro credeva all’inizio di quest’anno in un miglioramento della situazione, contro il 19% dell’Italia e il 14% della Grecia, mentre il 61% pensava che sarebbe peggiorata. Un malessere che incide profondamente sulla fiducia nelle istituzioni e nei loro rappresentanti. Se Nicolas Sarkozy è stato il primo presidente a non essere riconfermato per un secondo mandato da oltre trent’anni, oggi  anche il suo successore François Hollande sconta un tasso record di impopolarità.

L’aumento delle tasse ha comunque permesso di rinviare la discussione sul futuro di uno stato sociale che all’efficienza associ la sostenibilità. Un sistema, del resto, che ha numerosi fiori all’occhiello – come il trattamento fiscale delle famiglie, in particolare quelle con figli (con la famosa Caf, la Caisse d'Allocations familiales), e uno dei migliori sistemi sanitari al mondo – ma che assorbe ormai il 55% del bilancio delle risorse pubbliche e che ha portato a un costante aumento della spesa pubblica, cresciuta di 170 miliardi di euro negli ultimi cinque anni.

Proprio in questi giorni è in corso il confronto sul progetto di legge sul finanziamento della Sécurité sociale, che verrà presumibilmente presentato in parlamento alla fine di settembre. Il governo si è impegnato con i sindacati a non rivedere i meccanismi di calcolo per le pensioni fino al 2020. Per raggiungere questo obiettivo dovranno però essere ulteriormente elevati i contributi, e per ottenere l’ok da parte della Medef (la potente Confindustria francese) il primo ministro Ayrault ha offerto in contropartita alle imprese una diminuzione del costo del lavoro. In pratica verrà aumentata ulteriormente la quota della fiscalità generale destinata allo stato sociale, in particolare alle pensioni (proporzionalmente già le più ricche al mondo, dopo quelle del Lussemburgo). Una scelta che permette a Monsieur Hollande di tenere gli impegni col suo elettorato e di continuare a vantare un’ulteriore exception française: sociale, oltre che culturale e militare. Fino a quando sostenibili, non è dato sapere. 

Daniele Mont D’Arpizio

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