SOCIETÀ

Giovani padovani, uno su cinque viene da lontano

Il 21% dei giovani padovani tra gli zero e i 19 anni ha origini familiari non italiane: parte da questo dato l'indagine, curata da Gaia Farina per conto della Camera di commercio, che racconta i comportamenti dei figli dell’immigrazione a Padova. Mostrando che a più di vent'anni di distanza dallo sbarco di 27.000 albanesi, primo vero esodo di massa verso il nostro Paese, i figli degli immigrati giunti in Italia hanno oggi abitudini non molto diverse da quelle dei loro coetanei “italiani doc”. A partire dai luoghi di socializzazione, per fare un esempio. Con le piazze e il Duomo che sono infatti ritrovo abituale di tutti gli adolescenti con variazioni che rispecchiano più l'età e le amicizie che i motivi di appartenenza. La ricerca, condotta attraverso laboratori video, attività di strada e raccolta di documentazione fotografica, è un tour nella vita quotidiana  di 50 giovani, figli di migranti e autoctoni, che frequentano tre diverse zone della città (centro, zona Palestro, Arcella).

Un gruppo di ragazze dai 12 ai 15 anni (di origini tunisine, congolesi e nigeriane) testimonia in video il proprio punto di vista sulla questione dell’identità, avvicinandosi magari per la prima volta alla questione dell'identità e svelando diversi modi di sentire l'appartenenza. C'è chi dice di sentirsi legata unicamente al paese d’origine: ”Sono nera e mi sento congolese” dichiara convinta una di loro. Alcune sostengono di non avvertire alcuna “italianità” pur essendo nate o cresciute qui, andando a scuola e coltivando abitudini in tutto simili alle loro coetanee figlie di italiani. Su Facebook utilizzano hashtag come #afrogirl o #blackiskin: a farle sentire diverse sono soprattutto le differenze fisiche che le distinguono dalla maggior parte delle altre ragazze. Del resto colore della pelle o caratteristiche dei capelli sono argomenti che spesso tornano nei loro discorsi. Ad avvicinarle ai coetanei nati da italiani sono però le aspirazioni e i punti di riferimento, dalla condivisione delle speranze lavorative agli idoli dello spettacolo, dai protagonisti delle serie televisive alla preferenza dichiarata per i One direction, un gruppo inglese molto amato anche dalle giovani italiane.

All'estremo opposto si collocano invece le ragazze che vorrebbero “mimetizzarsi” all’interno della società italiana, un atteggiamento che le spinge quasi a nascondere la propria identità nazionale. Nelle loro parole l'enfasi cade sul loro sentirsi italiane, negando ogni diversità e prendendo a volte le distanze dagli altri giovani connazionali: una risposta forse alla paura di essere escluse, molto frequente nelle adolescenti.

Spazio anche per chi non vive un’identificazione esclusiva, prediligendo una doppia appartenenza vissuta come un vantaggio.

In ogni caso ad accomunare i protagonisti delle videointerviste (realizzate in autonomia dai ragazzi) è l'appartenenza alla classe media, la frequentazione della scuola e la padronanza della lingua italiana, così come il desiderio di iscriversi all’università per diventare un giorno medici o avvocati.

Nel nuovo fenomeno delle seconde generazioni, c'è comunque spazio per coltivare un antico pregiudizio sociale, che travalica ogni appartenenza o rifiuto di un gruppo etnico: quelli del centro (come si descrivono alcuni ragazzi) scelgono infatti di non ritrovarsi in alcuni luoghi cittadini per evitare di incontrarsi con quelli che vengono dalla campagna.

Insomma delle compagnie di amici fanno sempre più parte figli di nigeriani, rumeni o tunisini, ma attenzione: la zona della città dalla quale si proviene potrebbe essere il vero problema.

Rosa Valentini

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