SOCIETÀ

Global Transparency Report, la glasnost della Rete con gli occhi di Google

Sono oltre 1.500 le richieste ufficiali di rimozione di contenuti pubblicati sul web e ritenuti scomodi, inoltrate negli ultimi sei mesi del 2012 da parte di organismi governativi a Google. E sono 18 milioni e oltre (18.047.340 per l'esattezza) le richieste di rimozione per violazione del copyright ricevute dal motore di ricerca nel solo mese di agosto 2013. Troviamo questi dati nel Global Transparency Report, lo strumento che Google pubblica ogni sei mesi nell'ottica di alzare il velo sulle azioni coercitive imposte dai singoli Stati sui documenti pubblicati in rete, compresi i video di YouTube. 

Il Rapporto sulla trasparenza di Google è uno studio, diviso in quattro sezioni, che fornisce dati interessanti in merito al traffico mondiale delle informazioni in rete verso i servizi che transitano via Google

  1. Traffico in tempo reale e storico dei servizi Google in tutto il mondo;
  2. Cifre relative alle richieste di rimozione ricevute dai proprietari del copyright o dalle autorità;
  3. Cifre relative alle richieste di dati degli utenti ricevute da autorità governative e tribunali.
  4. Navigazione sicura: una sezione realizzata per identificare i siti web non sicuri e informare utenti e webmaster su come evitare le minacce e fornendo informazioni utili per risolvere il problema. 

Nella prima sezione ogni grafico mostra lo storico delle tendenze di traffico per una determinata regione geografica e servizio. I dati normalizzati mostrano le interruzioni, visualizzando i disturbi al libero flusso delle informazioni, siano dovuti a semplici guasti e rotture di cavi o a veri e propri blocchi dei dati da parte delle autorità nei vari Paesi. 

I dati suddivisi per anno dimostrano un inquietante incremento dei blocchi posti da autorità governative di ben 30 paesi, in testa Cina, Pakistan, Siria, Iran, Bangladesh, Hong-Kong, Kenya, Afghanistan. L’Iran è stato il paese che ha maggiormente bloccato l’accesso a Google nel 2012, ma nel 2013 la Cina sembra in testa alla classifica, e YouTube è stato il servizio più bloccato nel mondo.

Nella seconda sezione per ogni richiesta sono riportati gli Url da rimuovere. Google riceve regolarmente da titolari di copyright - persone fisiche o giuridiche (aziende, enti..) che rivendicano un diritto esclusivo sui contenuti - richieste di rimozione di risultati di ricerca che rimandano a materiali in presunta violazione, talvolta legittime altre no. 

Un'analisi di questi dati è disponibile in Chilling Effects, un progetto congiunto per tirocinanti di giurisprudenza di Harvard, Stanford, Berkeley, George Washington School of Law ed Electronic Frontier Foundation dove vengono pubblicate e analizzate, tra le varie richieste di rimozione dei contenuti pervenute, quelle relative a violazioni del copyright. In testa in classifica dei “censori” da copyright troviamo l’Associazione americana dell’industria discografica con oltre 28 milioni e mezzo di Url rimossi, e la Microsoft con quasi 15 milioni. I più colpiti dalla censura sono i siti peer-to-peer. Le cause di richiesta di rimozione sono in generale, però, tra le più svariate e, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, solo una certa parte riguarda il copyright. 

Le amministrazioni pubbliche, in particolare, chiedono alle aziende di rimuovere contenuti per svariati motivi, tra i quali diffamazione, che raggiunge il 39% delle richieste totali, privacy e sicurezza, sicurezza nazionale, critiche ai governi, furto d'identità, contenuti per adulti, incitamento all'odio, violenza, offese alla sensibilità religiosa, protezione di marchi registrati, violazioni delle leggi elettorali. In alcuni casi i contenuti violerebbero leggi che variano da paese a paese: le richieste riflettono il contesto giuridico di una data giurisdizione. 

La terza sezione riguarda le richieste di dati e informazioni su account di singoli utenti, inoltrate a Google da parte di autorità governative e tribunali. Questa sezione appare di grande interesse, soprattutto per le recenti vicende connesse alla privacy.

Le statistiche qui sono relative a richieste per indagini di tipo penale ma non solo. Sono incluse richieste di emergenza da parte di un'agenzia governativa per la sicurezza pubblica o per trovare in tempi brevi informazioni per salvare la vita di una persona in pericolo. Nella tabella richieste di dati degli utenti, viene riportato il numero di richieste per ogni singolo Paese, oltre ad una ulteriore colonna con la percentuale di richieste per le quali sono stati generati i dati: su un totale di 21.389 richieste sono stati 33.635 gli account specificati nel semestre giugno-dicembre 2012. I Paesi che maggiormente hanno richiesto a Google informazioni sugli utenti sono – in ordine di richieste – Stati Uniti, a seguire India, Brasile e – dato significativo – Italia, con oltre 1.000 account coinvolti. Negli Usa sono 8.438 le richieste negli ultimi sei mesi, e si arriva ad un 88% di accettazione. In Giappone poche richieste, accettate nell'86% dei casi; in Danimarca a fronte di sole 34 richieste il tasso è del 59%, mentre tutte le 97 richieste della Russia eccetto una sono state rifiutate.

Alte percentuali di accettazione indicano coerenza della richiesta inoltrata da un governo o autorità in relazione a quanto prevede la legge di quel Paese. Per contrastare leggi poco rispettose della tutela della privacy, esiste il Digital Due Process, di cui Google fa parte: un’iniziativa messa in piedi da gruppo di aziende leader del settore delle comunicazioni, con lo scopo di contrastare i sistemi di sorveglianza esercitando pressioni sul Congresso per ottenere una maggiore tutela della privacy della propria utenza. 

Pochi i casi in cui è possibile opporre rifiuto ad una richiesta di fornire informazioni, perché se da una parte va garantita la privacy degli utenti, dall’altra vi sono leggi nei singoli Paesi che impongono ai provider di fornire le informazioni qualora richieste da tribunali, autorità o enti pubblici di quel Paese. In Italia su 846 richieste da parte dell’autorità giudiziaria, Google ne ha accolte solo il 34%, presumibilmente grazie all’ottima legge sulla privacy, considerata un modello innovativo in Europa. 

La quarta sezione, l’ultima creata, include dati, mappe e liste di siti non sicuri. In particolare, questi rientrano in due categorie che costituiscono entrambe una minaccia per la privacy e la sicurezza degli utenti: malware e phishing. È corredata anche di video didattici.

Tutti i dati del rapporto, periodicamente aggiornati, sono disponibili per l’esportazione come dati grezzi, scaricabili cioè in forma non elaborata e in vari formati, e possono essere ri-elaborati, visualizzati e integrati con altri dati da sviluppatori e  ricercatori di altre organizzazioni per elaborare e verificare nuove ipotesi. 

Antonella De Robbio

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