SOCIETÀ

Ground Zero, nuovi grattacieli, vecchi lavori

La scorsa settimana ha destato molto interesse il salvataggio di due lavavetri rimasti appesi all’altezza del 69esimo piano della Freedom Tower a New York. I due operai sono rimasti in bilico su una piattaforma quando uno dei cavi che la sorreggeva, ancorata al tetto della torre, si è spezzato. Il ponteggio è rimasto a dondolare dall'alto per oltre un’ora mentre scattavano immediatamente i soccorsi. I pompieri newyorchesi sono quindi riusciti a trarre in salvo i due operai, tagliando con una punta di diamante uno dei vetri posto in prossimità del ponteggio penzolante. 

Si è trattato di un incidente purtroppo ancora frequente sui grattacieli di tutto il mondo ma che stavolta ha suscitato particolare interesse perchè accaduto allo One Trade Center, cioè in quel complesso edilizio che è stato costruito sulle ceneri delle Torri Gemelle ed è stato inaugurato solo pochi giorni fa. La Freedom Tower ha 104 piani ed è alta 541 metri (esattamente 1.776 piedi, il numero dell'anno dell'Indipendenza americana). Inoltre, grazie a un’enorme antenna che si innalza sul tetto l'edificio è il più alto degli Stati Uniti. Il capannello di curiosi formatosi alla base della torre e la spasmodica attenzione mediatica hanno inoltre contribuito a risvegliare in molti newyorchesi sentimenti e fantasmi dell’11 settembre che probabilmente si credevano sopiti. 

L'incidente ha inoltre riproposto le polemiche sui rischi a cui queste altissime torri espongono chi ci lavora per pulire i vetri esterni. Non sempre infatti questi episodi si risolvono con un lieto fine. Solo poche settimane fa, proprio a New York, due lavavetri sono rimasti uccisi dal cedimento della piattaforma su cui stavano lavorando. Le due vittime erano cugini, ma mentre uno era dipendente di una società specializzata, l’altro non era in regola. Secondo alcuni studi, considerando l’intero paese, il 95% dei lavavetri di grattacieli non è sindacalizzato e guadagna in media appena 7 dollari all’ora. 

A New York, invece, sono circa 600 i lavavetri che sono affiliati al sindacato di categoria locale 32BJ. Ma ve ne sono anche circa 800 che lavorano in proprio, non sono sindacalizzati, sono pagati di meno e in larga parte non hanno ricevuto una formazione professionale adeguata, specie per quel che riguarda le norme di sicurezza. Secondo un portavoce del sindacato, negli ultimi 25 anni – prima cioè dell’ultimo incidente mortale sopra menzionato - nessun lavavetri affiliato al sindacato è mai stato coinvolto in incidenti sul lavoro, mentre tra i non sindacalizzati si sono verificati circa 200 incidenti e almeno 70 morti. Negli anni Trenta del 1900 pulire i vetri esterni dell’Empire State Building era considerato il più pericoloso lavoro in città e ogni anno moriva circa il 2% dei lavavetri. A quel tempo ancora non si usavano gli attuali ponteggi, introdotti soltanto negli anni Cinquanta, e i lavavetri si calavano dall’alto assicurati individualmente con delle corde.

Attualmente la maggioranza dei lavavetri di grattacieli è di origine sudamericana e i posti di lavoro, così come le tecniche di pulizia e gli altri “segreti del mestiere” sono spesso tramandati di padre in figlio. Si tratta di una comunità piccola e abbastanza chiusa e che durante la sua storia ha visto avvicendarsi diverse ondate di immigrati. Sin dagli inizi, cioè da fine ottocento, quando vennero costruiti i primi grattacieli, è stato un lavoro destinato ai più poveri tra gli immigrati. Prima i polacchi, poi gli ucraini, quindi gli italiani e gli irlandesi. Ora il maggior numero di lavavetri proviene da tre paesi: Ecuador, Guatemala e Perù. Un tempo, si trattava di un lavoro molto ambito tra i nuovi arrivati in America. Sebbene pericoloso era considerato come un’occupazione ben retribuita per lavoratori non qualificati, che spesso riuscivano a lavorare meno di quanto stabilito ed essere comunque pagati per le ore pattuite. Un’attività tipicamente mattutina, sia per recare meno disturbo possibile a uffici e abitazioni, sia – specie d’estate – onde evitare le altissime temperature percepite a quell’altezza a contatto con quei vetri. 

Ora però anche quella piccola “età dell’oro” pare ormai essere terminata. Con la crisi economica del 2008, l’attenzione ai costi ha portato quasi ovunque alla riduzione del numero settimanale di ore di pulizia dei vetri esterni e nuove invenzioni hanno introdotto vetri autopulenti e impianti di pulitura completamente robotizzati. Sebbene nessuna di queste ultime due innovazioni sia stata ancora adottata in alcun palazzo di Manhattan, la questione del lavaggio dei vetri esterni di un grattacielo è da considerarsi rilevante anche in fase di progettazione degli edifici stessi. 

Quando Norman Foster presentò il suo progetto per la prima costruzione che sarebbe andata e erigersi sopra ground zero, la prima domanda che gli venne fatta fu: come potremo pulire i vetri di questo palazzo? Quella che sarebbe poi diventata l’iconica Hearst Tower presentava infatti un problema non secondario: l’impossibilità per ogni piattaforma esterna conosciuta fino a quel momento di adattarsi alle forme del nuovo edificio. L’architetto inglese aveva infatti ideato una torre piena di superfici a zig zag, linee diagonali, vetri multiformi e una gabbia di tubi metallici che avrebbe abbracciato la superficie vetrata. In pratica, una serie di accorgimenti stilistici e architettonici che avrebbero fatto assomigliare il grattacielo a un grande diamante. 

I lavori di messa a punto di un sistema specifico di pulizia dei vetri dell’Hearst Tower ritardarono il completamento dell’edificio stesso e solo dopo tre anni di tentativi e oltre tre milioni di dollari di spesa, si riuscì a progettare un complesso meccanismo che avrebbe permesso la pulizia esterna della nuova torre. Quest’ultima storia è esemplificatrice dell’ennesimo paradosso: sebbene i ponteggi siano diventati sempre più complessi per far fronte alle sempre più ardite forme architettoniche, il materiale di lavoro del lavavetri è sempre lo stesso di ottanta anni fa: un secchio con acqua e sapone e una spugna. 

Marco Morini

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