SOCIETÀ

Identikit del lavoratore povero

In un saggio pubblicato sulla Rivista delle Politiche sociali dedicato a “I lavoratori poveri”, Vincenzo Carrieri quantifica il fenomeno degli working poor in Italia e ne analizza le principali determinanti. Pubblichiamo una sintesi del lavoro con le conclusioni a cui è giunto, rinviando alla lettura dell'intero contributo.

 

Quanti sono gli working poor in Italia? E qual è l’intensità del fenomeno, ossia: quanto sono poveri i lavoratori poveri? E in quali fasi della vita il rischio di povertà è maggiormente presente? Per rispondere a queste domande, bisogna far riferimento a due indici classici, la conta dei poveri (headcount ratio) e il divario di povertà (poverty gap index) annuali, che noi abbiamo analizzato per il periodo 2004-2008, subito a ridosso della riforma del mercato del lavoro varata dalla legge 30/2003. Cosa si intende statisticamente, per working poor’s, lavoratori poveri? Secondo la definizione Eurostat, si tratta di individui che, nonostante svolgano un’attività lavorativa ed abbiano lavorato per almeno sei mesi nell’anno preso in esame, hanno percepito un reddito da lavoro o equivalente inferiore al 40, 50 o 60% del reddito mediano, inteso come il reddito che divide la metà inferiore dalla metà superiore della scala dei redditi nazionali. Si considerano quindi sia individui con un reddito da lavoro inferiore alla soglia di povertà, sia persone il cui reddito è inferiore se calcolato come reddito familiare disponibile equivalente, rispetto ai carichi familiari.

Dalla nostra ricerca viene fuori che in Italia nel 2008, ultimo anno dell’indagine (e anno di inizio della crisi finanziaria che ha condotto all’attuale recessione) i lavoratori poveri, ossia con un reddito da lavoro inferiore alla soglia del 60% del reddito mediano, erano il 12,8% di tutti i lavoratori. Tale valore si è mantenuto pressoché costante nel quinquennio 2004-2008; una situazione che appare sostanzialmente invariata, incrociando dati di altre rilevazioni, anche per gli anni 2009 e 2010, quindi molto vicino ad oggi. Circa 1/3 di questi lavoratori, pari al 4%, presenta in realtà un reddito inferiore al 40% della mediana, con reddito mensile lordo sotto ai 600 euro. Se si utilizza il reddito pro capite equivalente, che considera i carichi familiari, la proporzione di individui con reddito inferiore al 60% della mediana è intorno al 19,3% nel 2008, in calo di circa tre punti dal 2003. Il dato però è preoccupante in quanto si accompagna ad una forte incidenza della povertà profonda, con un segmento di popolazione, circa l’8% di lavoratori, con reddito equivalente inferiore al 40% della mediana nel quinquennio.

Il divario di povertà – il differenziale fra reddito effettivo e soglia - dei lavoratori poveri in Italia è invece pari al 27% della soglia stessa, ovvero circa 2.300 euro lordi annui per individuo povero. Questo sarebbe il costo minimo pro capite di una politica di redistribuzione che volesse eliminare la povertà al lavoro. Il dato è in miglioramento dal 2004 ma si attesta su valori in ogni caso non trascurabili. Il divario di povertà calcolato sul reddito disponibile equivalente è di circa il 28% della soglia stessa, rendendo necessario un trasferimento di circa 1042 euro annui di reddito disponibile equivalente pro capite per eliminare la povertà. La povertà che tiene conto anche dei carichi familiari, sebbene più diffusa, sembra essere meno severa di quella imputabile a bassi redditi da lavoro.

Riguardo le determinanti della povertà, il nostro studio stima come il rischio di povertà sia particolarmente alto per le donne (5,4% in più rispetto agli uomini), i cittadini extra Ue e Ue non italiani (rischio di povertà maggiore di circa il 7% rispetto ai nativi), gli individui meno istruiti, gli individui con contratto a tempo determinato, part-time, lavoratori del settore agricolo e gli individui che lavorano nelle imprese piccole (5,3% come effetto marginale). Questi effetti sono particolarmente importanti, in quanto sono depurati dall’effetto del numero di ore lavorate. Esse rappresentano una determinante significativa ma di secondaria importanza della povertà – due ore in più al giorno di lavoro (considerando 5 gg. lavorativi a settimana) riducono il rischio di povertà di appena il 3%. Infine, si osserva come il rischio di povertà sia maggiore nelle zone rurali, al Sud e Isole rispetto al Nord e al Centro, mentre non sembra esserci una maggiore collocazione dei poveri nei quartieri più svantaggiati in termini di inquinamento, sporcizia e crimine.

Dalla nostra analisi, due tipi di lavoratori sembrano meglio incarnare il prototipo del lavoratore povero: il primo è un individuo di sesso maschile, quarantenne, con diploma di scuola media, non italiano e impiegato a tempo determinato. Per questo lavoratore il rischio di povertà è vicino all’80%. Il secondo è un individuo di sesso femminile, trentenne, diplomato, con contratto a tempo determinato e residente al Sud. Per quanto riguarda il ciclo di vita, ciò che emerge è che il rischio di povertà presenta una relazione convessa con l’età del lavoratore, essendo maggiormente concentrato tra i lavoratori in età compresa tra i 15 e i 33 anni e per gli over 60. I primi a causa di salari di ingresso nel mercato del lavoro ben al di sotto della soglia di povertà, anche se in possesso di titoli di studio elevati, come laurea e diploma, i secondi per una serie di variabili fra cui carichi familiari, bassa qualificazione, instabilità lavorativa pregressa e esiguità della pensione maturata, che mantengono al lavoro in posizioni mal retribuite persone prossime all’età pensionabile.

Alla luce di questi risultati, il quadro della povertà dei lavoratori nel nostro paese appare pesante per due motivi. Il primo è che sembra trattarsi di una povertà in cui la responsabilità individuale sembra contare poco; il secondo ha a che fare con la persistenza del fenomeno, che presenta pochissime variazioni negli anni considerati.

Ciò che il lavoro può concludere già da ora è che la povertà dei lavoratori è un fenomeno preoccupante che deve necessariamente entrare nell’agenda politica in Italia. Più che una politica di contrasto sembra essere necessaria una politica dei redditi, essendo il fenomeno degli working poor un problema di bassi salari e di segregazione di poche e facilmente individuabili categorie in posizioni lavorative scarsamente retribuite o in ogni caso insufficienti a garantire una vita dignitosa all’intero nucleo familiare.

Vincenzo Carrieri

Università di Salerno

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