SOCIETÀ

Il credito di Mussolini incassato dall'Italia repubblicana

È la documentazione conservata presso l’archivio storico del ministero degli Affari esteri a Roma a permettere di ricostruire a tutto il 1946 – in piena età repubblicana – lo sviluppo della vicenda dell’ammortamento del debito sulla base di quanto pattuito nel gennaio di quell’anno. Vi si fa in particolare riferimento alla richiesta di pagamento di 150 milioni di pesetas, pari a un miliardo e 370 milioni di lire (ossia poco meno di un terzo dei famosi 5 miliardi di lire). E negli anni successivi i governi post fascisti italiani non avrebbero cessato di pretendere la soddisfazione del credito verso Franco in ragione dell’intervento di Mussolini durante la guerra civile. La prova è affidata a un rapporto inviato al governatore della Banca d’Italia del 9 novembre 1954 da cui si evince che rimanevano ancora da pagare come previsto dal piano di ammortamento oltre 3 miliardi di lire, ma che al 30 giugno 1954 erano stati corrisposti gli interessi sui 150 milioni come stabilito dall’accordo del 1946 e che pertanto a quella data "il prestito [era] stato regolarizzato sia in conto capitale che per interessi".

Fin qui arriva la ricostruzione puntuale della vicenda finanziaria ma, più in generale, la questione del debito va inserita nel complesso sistema di relazioni internazionali negli anni cruciali della seconda guerra mondiale (1939-1945) e del dopoguerra (1946-1954). Gli Alleati avallarono infatti l’azione dell’ambasciatore italiano a Madrid, Gallarati Scotti, che dal 1945 stava intavolando con Franco le trattative per la soluzione del debito: di fatto significava riconoscere il pieno titolo di Franco come legittimo capo di stato – in un momento in cui la Spagna era esclusa dall’ONU –  e sostenere le pretese italiane circa il pagamento del debito contratto dal caudillo per l’intervento fascista a suo fianco. E, negli anni successivi, il progressivo allineamento della Spagna al sistema occidentale, culminato negli accordi con gli Stati Uniti nel 1953 e nell’ingresso nell’Onu nel 1955, avrebbe ulteriormente giustificato l’azione italiana.

Non meno significative sono le giustificazioni addotte dai governi repubblicani a sostegno del preteso pagamento del debito. Illuminante è il telegramma del presidente del consiglio italiano e ministro degli Esteri, De Gasperi, all’ambasciatore a New York, Tarchiani, di fronte alle proteste del capo del governo spagnolo repubblicano in esilio, José Giral, per l’imminente firma del citato accordo del gennaio 1946:

"Converrebbe ella facesse sapere Giral […] che nelle nostre condizioni attuali sarebbe stato contrario a qualsiasi interesse nazionale rinunziare ad un credito che rappresenta in sostanza sudatissimo risparmio delle stremato contribuente italiano. La regolamentazione del debito deve invece esser posta al di sopra e al di fuori di qualunque ideologia e piuttosto intesa a servire quei permanenti interessi fra il popolo italiano e quello spagnolo che sarebbe reciprocamente dannoso negligere o pregiudicare. È perfettamente esatto che fra l’attuale regime spagnolo e la nuova democrazia italiana non vi è nessuna congruenza politica, ma ciò non toglie che, a mio avviso, debbano essere mantenuti fra i due Paesi quei sia pur scarsi contatti, soprattutto economici, sui quali sarà possibile ricostruire, al momento opportuno, in una comune atmosfera di libertà, un avvenire migliore. Certo è che nella situazione estremamente precaria in cui trovasi il popolo italiano, nel cuore di un difficilissimo inverno, consideriamo dovere nostro tentare di mobilitare tutto quanto è possibile – ed è poco – per venire incontro ai nostri bisogni che sono gravissimi ed urgenti. Dica a Giral che sarebbe ingiusto dare alla nostra iniziativa interpretazioni diverse".

Le argomentazioni sono chiarissime. Da questo e da altri documenti ufficiali dello stesso tenore si evince che la linea sostenuta dal governo italiano si fondava su tre assunti: innanzitutto, le difficilissime condizioni economiche del popolo italiano alle prese con la miseria dell’immediato dopoguerra; in secondo luogo, il denaro utilizzato per l’intervento militare in Spagna era frutto dei "sudatissimi risparmi" degli "stremati" contribuenti italiani; infine, il debito spagnolo non era da considerarsi un debito di Franco, ma investiva direttamente il rapporto tra due popoli, al di là e al di sopra del colore politico dei rispettivi governi. Con l’aggiunta che "tra il regime spagnolo e la nuova democrazia italiana non vi è nessuna congruenza politica". Si potrebbe obiettare che anche altri paesi stavano stipulando in quel frangente storico accordi commerciali con la Spagna franchista, con la sostanziale differenza, tuttavia, che l’Italia vi includeva il pagamento di un debito di guerra maturato da Mussolini. Non solo la partecipazione fascista alla guerra civile fu fallimentare dal punto di vista economico, ma durante i decenni successivi nella gestione della questione del debito spagnolo da parte dei governi italiani nati dalla Resistenza gli elementi di continuità con il regime di Mussolini prevalsero di gran lunga su quelli di rottura. (2/fine)

Andrea Tappi

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