SOCIETÀ

L’Italia delle disuguaglianze

L’Italia è uno dei paesi europei dove sono più grandi le distanze fra ricchi e poveri eppure manca nel nostro paese un vero dibattito sulle ragioni di questa situazione. Parte da questa constatazione Maurizio Franzini nel suo libro Ricchi e poveri. L’Italia e le disuguaglianze (in)accettabili, pubblicato nel 2010 dall'Università Bocconi:

“Le disuguaglianze sono lo specchio del ‘carattere’ di una società, ne riflettono le dinamiche economiche,  le relazioni sociali, i valori culturali, le scelte politiche e l’articolazione del potere. Le disuguaglianze, anche soltanto quelle economiche, cui questo libro è dedicato, sono un criterio essenziale per valutare il progresso civile e sociale di un paese. Eppure di disuguaglianze si discute poco. Nel dibattito politico, nell’arena mediatica anche tra gli economisti – se si escludono circoli ristretti di specialisti – si è parlato, e si parla, molto più di crescita, di debito pubblico, di mercati finanziari e, di recente, di crisi, raramente, peraltro, in collegamento con la disuguaglianza”. (p. XI)

Lo studio ha il merito di dimostrare efficacemente da un punto di vista economico una percezione piuttosto diffusa, che è quella di un generale aumento dell’ingiustizia sociale nel nostro paese. I dati presentati fotografano la realtà di una situazione troppo spesso ignorata. Prendendo ad esempio come parametro l’indice di Gini (un coefficiente tra 0 e 100 che misura la disuguaglianza) fra i trenta paesi Ocse solo Messico (47), Turchia (43), Portogallo (42), Stati Uniti (38) e Polonia (37) presentano livelli di disuguaglianza economica più alti dell’Italia (35). Un dato più elevato non solo di paesi come Svezia e Danimarca, ma anche di Francia e Germania. La disuguaglianza economica inoltre nel nostro paese sembra trasmettersi di generazione in generazione, risentendo meno di quanto non si creda del livello di istruzione. Alla disuguaglianza si accompagnano inoltre livelli di povertà sempre più preoccupanti: nel 2008 secondo l’Istat era povero l’11,3% delle famiglie, pari a più di 8 milioni di persone: una percentuale che raggiunge addirittura il 25,9% per i nuclei con 5 o più componenti. Se poi si considera la povertà assoluta, che consiste nell’impossibilità di procurarsi beni necessari per una vita dignitosa, rientrava in questa categoria il 4,9% dei cittadini.

Sono in molti a sostenere che le disuguaglianze siano inevitabili e anzi necessarie al funzionamento di un’economia capitalistica. Considerazioni di questo tipo si scontrano però con la realtà di un’Italia in cui il merito non riesce ad affermarsi come criterio e dove, inoltre, l’economia non cresce da ormai vent’anni, a differenza degli stati del Nord Europa, che riescono a coniugare la salvaguardia dello stato sociale con la crescita e l'innovazione. In realtà l’influsso benefico delle diseguaglianze sulla crescita e più in generale sul benessere di una società è tutto da dimostrare. Paesi con minore disuguaglianza economica e sociale risultano infatti avere livelli di criminalità più bassi e in generale una speranza e una qualità della vita migliori. D’altro canto, secondo alcuni autori, l’erosione del potere di acquisto dei salari sarebbe una delle ragioni della crisi economica attuale, esplosa nel 2008 proprio a causa delle difficoltà dei piccoli proprietari americani nel ripagare i debiti contratti per l’acquisto della casa.

Dopo i primi capitoli dedicati alla fotografia e all’analisi della situazione, l’ultima parte del volume affronta il tema del perché gli italiani, tra cui molti “poveri silenziosi”, sembrino accettare lo status quo senza tentare seriamente di cambiarlo. Secondo l’analisi di Franzini la risposta sta nella convinzione, diffusa dai principali mezzi di informazione, che le disuguaglianze siano generalmente giustificabili con le differenze di qualità e attitudini personali; a questa si unisce poi la speranza, per la verità sempre più tenue, di riuscire un giorno a fare il salto nella scala economica e sociale, magari aiutati da parenti e amici o con l’aiuto di una comparsata in televisione. C’è poi il generale clima di sfiducia verso la politica, in cui avrebbero giocato un ruolo fondamentale, sempre secondo l’autore, anche le scelte operate negli ultimi anni dai partiti di sinistra. Questi infatti, a partire dalla teorizzazione della “terza via” da parte di figure come Clinton, Blair e Zapatero, avrebbero scelto di combattere le disuguaglianza tramite strategie diverse dai tradizionali strumenti della tutela dei salari, del welfare e della progressività fiscale. La sperimentazione di nuove vie, quali i programmi di istruzione per i ceti più poveri e la liberalizzazione del mercato del lavoro, non sarebbe però riuscita a compensare i costi dello smantellamento dello stato sociale per le classi più disagiate. Ed è proprio in un rilancio delle politiche di redistribuzione del reddito che l’autore vede una possibile soluzione dall’attuale situazione di stallo: in fondo “meno disuguaglianza fa bene anche ai ricchi”. Anche se loro spesso non sembrano rendersene conto.

 

Daniele Mont D’Arpizio

 

Collegamenti esterni

Presentazione del libro sul sito dell’Università Bocconi

 

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