CULTURA

La collina del vento. Storia di una Calabria che resiste

Dopo anni in cui era di moda la convinzione che di cultura non si mangia, ecco che a Venezia vince una storia di caparbietà. La stessa che contraddistingue un gruppo di industriali che si ostina da 50 anni a sostenere il premio Campiello con la convinzione che la letteratura è necessaria. Sarà forse un altro segno dei tempi ma in questo tormentato 2012 un tema ricorrente della cinquina finalista è la solidarietà nella sofferenza, l’umana comprensione, la vicinanza nella differenza.

Il romanzo di Carmine Abate è un racconto, sulla collina ventosa e aspra del Rossarco, di vite sofferte, amori mutilati, orgoglio e fierezza di una famiglia con padri, madri, figli e nipoti che si appartengono e si avvinghiano, radicati fortemente l’uno nell’altro, come le radici muscolose degli alberi grandi e storti che tengono insieme la collina. Famiglia lunga un secolo e apparentemente patriarcale, la stirpe di Alberto, Arturo e Michelangelo Arcuri, uomini e donne parimenti indomiti, indistintamente radicati alla terra come le loro piante, e con il cuore nel vento che spazza perenne la loro collina.

Romanzo di figure mitiche, quasi eroi della Magna Grecia: i vecchi eternamente vecchi, al limite dell’oblio eppure sempre colmi di energia; i figli che diventano uomini e muoiono ancora giovani, figure sempre possenti che non conoscono decadenza; nipoti che vivono tanto da diventare nonni e combattere fino all’ultimo per difendere la dignità e la libertà della propria terra e la bellezza intatta del proprio paesaggio. Terra di valori atavici, di onestà e rispetto, dove lavoro e fatica sono un valore, e l’orgoglio abita insieme alla modestia: solo qui, sulla collina, sono possibili incontri straordinari, tra uomini opposti, il vecchio contadino e l’archeologo di fama, il giovane soldato e l’uomo maturo tornato dal confino, il maestro premuroso e i bimbi che con determinazione studiano e lavorano. Solo qui gli opposti si capiscono e si rispettano, le donne sgravano tra i fiori e gli uomini trovano la morte sotto gli alberi. È qui, in mezzo alle invidie e alla violenza altrui, che poche anime elette possono condividere i sogni e le ambizioni, oltre la fatica e la povertà, idee che volano più alto del vento, come la rara e bellissima rondine albina, la rindine janca che solo i nobili di cuore riescono a vedere.

E anche in tempi duri come il fascismo, la guerra, la ricostruzione si propone il dilemma che torna ogni volta: lavorare o studiare, piantare una vigna o scavare per trovare tracce dal passato lontano? Natura e cultura si sfidano nello stesso ruvido fazzoletto di terra: sotto, reperti preziosi, la storia, il passato, la cultura che nutre l’anima e il futuro; sopra, il terreno reso fertile dalla fatica, il presente, il lavoro che sfama. E solo gli uomini illuminati, che siano professori, politici o contadini, sanno mediare le necessità “di pane e di lavoro, d’istruzione e cultura”, e capire e spiegare che senso ha cercare sottoterra la grandezza del passato anche se il presente è per lo più un inferno. A loro è dato di vedere e avere tra le mani la rindine janca invisibile agli altri.

La terra toglie, la terra dà. E dopo il tempo che passa, quando tutto sembra ormai perdersi e disfarsi, e gli ultimi nipoti crescono e vivono lontano, distaccati e quasi indifferenti, la collina ormai ròsa da scavi abusivi e sconsiderati frana verso la sua fine, ma per rinascere nuovamente svelando i suoi segreti più preziosi. Le storie umane finiscono e rinascono, è nella terra che trovano la loro eternità, perché come dice Michelangelo “per sempre è un’espressione effimera che racchiude la nostra voglia caparbia di perdurare nel tempo. Non esiste nulla per sempre. Per sempre è la collina del Rossarco.”

Carmine Abate, La collina del vento, Mondadori 2012

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