CULTURA
La collina del vento. Storia di una Calabria che resiste

Calabria 1964. Bruno Barbey
Dopo anni in cui era di moda la convinzione che di cultura non si mangia, ecco che a Venezia vince una storia di caparbietà. La stessa che contraddistingue un gruppo di industriali che si ostina da 50 anni a sostenere il premio Campiello con la convinzione che la letteratura è necessaria. Sarà forse un altro segno dei tempi ma in questo tormentato 2012 un tema ricorrente della cinquina finalista è la solidarietà nella sofferenza, l’umana comprensione, la vicinanza nella differenza.
Il romanzo di Carmine Abate è un racconto, sulla collina ventosa e aspra del Rossarco, di vite sofferte, amori mutilati, orgoglio e fierezza di una famiglia con padri, madri, figli e nipoti che si appartengono e si avvinghiano, radicati fortemente l’uno nell’altro, come le radici muscolose degli alberi grandi e storti che tengono insieme la collina. Famiglia lunga un secolo e apparentemente patriarcale, la stirpe di Alberto, Arturo e Michelangelo Arcuri, uomini e donne parimenti indomiti, indistintamente radicati alla terra come le loro piante, e con il cuore nel vento che spazza perenne la loro collina.
Romanzo di figure mitiche, quasi eroi della Magna Grecia: i vecchi eternamente vecchi, al limite dell’oblio eppure sempre colmi di energia; i figli che diventano uomini e muoiono ancora giovani, figure sempre possenti che non conoscono decadenza; nipoti che vivono tanto da diventare nonni e combattere fino all’ultimo per difendere la dignità e la libertà della propria terra e la bellezza intatta del proprio paesaggio. Terra di valori atavici, di onestà e rispetto, dove lavoro e fatica sono un valore, e l’orgoglio abita insieme alla modestia: solo qui, sulla collina, sono possibili incontri straordinari, tra uomini opposti, il vecchio contadino e l’archeologo di fama, il giovane soldato e l’uomo maturo tornato dal confino, il maestro premuroso e i bimbi che con determinazione studiano e lavorano. Solo qui gli opposti si capiscono e si rispettano, le donne sgravano tra i fiori e gli uomini trovano la morte sotto gli alberi. È qui, in mezzo alle invidie e alla violenza altrui, che poche anime elette possono condividere i sogni e le ambizioni, oltre la fatica e la povertà, idee che volano più alto del vento, come la rara e bellissima rondine albina, la rindine janca che solo i nobili di cuore riescono a vedere.
E anche in tempi duri come il fascismo, la guerra, la ricostruzione si propone il dilemma che torna ogni volta: lavorare o studiare, piantare una vigna o scavare per trovare tracce dal passato lontano? Natura e cultura si sfidano nello stesso ruvido fazzoletto di terra: sotto, reperti preziosi, la storia, il passato, la cultura che nutre l’anima e il futuro; sopra, il terreno reso fertile dalla fatica, il presente, il lavoro che sfama. E solo gli uomini illuminati, che siano professori, politici o contadini, sanno mediare le necessità “di pane e di lavoro, d’istruzione e cultura”, e capire e spiegare che senso ha cercare sottoterra la grandezza del passato anche se il presente è per lo più un inferno. A loro è dato di vedere e avere tra le mani la rindine janca invisibile agli altri.
La terra toglie, la terra dà. E dopo il tempo che passa, quando tutto sembra ormai perdersi e disfarsi, e gli ultimi nipoti crescono e vivono lontano, distaccati e quasi indifferenti, la collina ormai ròsa da scavi abusivi e sconsiderati frana verso la sua fine, ma per rinascere nuovamente svelando i suoi segreti più preziosi. Le storie umane finiscono e rinascono, è nella terra che trovano la loro eternità, perché come dice Michelangelo “per sempre è un’espressione effimera che racchiude la nostra voglia caparbia di perdurare nel tempo. Non esiste nulla per sempre. Per sempre è la collina del Rossarco.”
Carmine Abate, La collina del vento, Mondadori 2012