CULTURA

La crisi in un racconto dei lavoratori

Ci sono stati alcuni momenti in cui la storia industriale dell'Italia avrebbe potuto segnare una svolta e imporsi su scala mondiale, con inevitabili conseguenze. Come quando Enrico Fermi, nel 1949, incontra Adriano Olivetti, nome leader nel campo delle macchine da scrivere e da calcolo, e suggerisce con forza che “bisogna costruire il calcolatore”. Non è questa la storia raccontata in Il tempo senza lavoro di Massimo Cirri, ma c'entra, eccome. 

Andiamo con ordine: quello di Fermi è come un bisbiglio che smuove una valanga. Nell'arco di un lustro l'industriale, dopo aver attentamente seguito gli ultimi sviluppi tecnologici oltreoceano, decidere di stringere una partnership con l'università di Pisa per la costruzione della prima macchina elettronica e, nel contempo, promuove l'assunzione di tre terne di ingegneri che lavorino ad un progetto parallelo, tutto interno. La mente creatrice a capo dell'impresa risponde al nome di Mario Tchou, pluridecorato figlio dell'ambasciatore cinese in Italia con, si dice, più di una simpatia verso il regime maoista, a suo dire vero fautore dell'affrancamento femminile. 

È il 1957 quando nasce Elea 9001, prototipo di calcolatore a valvole, poi mutato in transistor nei modelli immediatamente successivi, Elea 9002 e 9003. Contemporaneamente, l'intuizione di lavorare non solo sui mainframe, ma su un terreno completamente nuovo: macchine di calcolo da tavolo, utilizzabili senza bisogno di tecnici specializzati. Computer personali, insomma: Olivetti P101, i primi al mondo a essere definiti così, realizzati dal gruppo di ricerca dell'ingegner Perotto e presentati con grande sensazione – e successo di mercato - nel 1965. 

Sembra l'avvio di una storia da favola. Sembra, perché i suoi due promotori non ne potranno raccogliere i frutti. Prima Olivetti, per un aneurisma, e poi Tchou, vittima di un incidente stradale su cui si sprecano le illazioni e le dietrologie, muoiono improvvisamente. L'azienda, in difficoltà dal punto di vista gestionale ed economico, viene rilevata in un paio d'anni da una cordata di imprese, Fiat in prima linea, ed istituti bancari: il settore dell'elettronica, definito “unico neo” dello sviluppo, viene prontamente smantellato e ceduto all'americana General Electric. 

Enrico Longoni sogna, per tutto il giorno. Sogna che la casa dove abita non sia stabile come prima, ma tremi, anzi, e tremi di continuo. Enrico, tuttavia, non è aquilano, né ferrarese: nasce e cresce nell'hinterland di Milano, ed è o era, uno dei tanti nomi sul libro paga della famiglia Landi. Angiolo, il presidente, il nipote Raimondo, vicepresidente, gli amministratori delegati Samuele e Isacco. I manager di Agile, società di telecomunicazioni nata dalle ceneri di Eutelia, ultimo rimasuglio di ciò che un tempo era stata Olivetti, appunto. 

Non è necessario avere sotto mano una copia de L'interpretazione dei sogni per decrittare l'origine del malessere di Enrico Longoni. Da quando, nell'aprile di quattro anni fa, Eutelia ha comunicato un esubero di 2000 dipendenti, diretta conseguenza di un passivo di quasi 179 milioni di euro, la storia di Enrico – come quella di Patrizia, Luisa, Angelo, Tiziano, Erica – è divenuta una lotta quotidiana, il tentativo disperato di far valere i propri diritti. Nei nove mesi che corrono dalla prima occupazione della fabbrica alla dichiarazione di insolvenza per l'azienda, nel giugno 2010, e il suo affidamento ad una terna di curatori, ogni giorno è il ritratto dello spaesamento di un'intera fascia di 40 e 50enni catapultati in una situazione prima d'allora sconosciuta: l'incertezza della precarietà. 

 

Massimo Cirri, giornalista e storica voce di Caterpillar dona con Il tempo senza lavoro, una cornice narrativa alle testimonianze dei protagonisti di una "storia dell'orrore" girata loro malgrado. Il libro, risultato di una collaborazione della Cgil con la Scuola Holden, istituto specializzato nell'insegnamento della scrittura creativa, nasce come raccolta incentrata sui vissuti degli stessi operai: le loro emozioni, le loro sensazioni, le loro difficoltà. Tutti temi che emergono più e più volte nel corso di lunghe assemblee comuni, vere e proprie sedute di autoanalisi promosse dal sindacato dove, a turno, ogni lavoratore mette a nudo il proprio lato umano di fronte a colleghi ed estranei, condividendo ansie e paure, ma anche speranze e desideri per il futuro. 

L'iniziativa, non così comune in Italia, ha trovato ampia ricezione, specialmente da parte delle donne coinvolte, liberando emozioni e ragioni, fragilità e determinazione. La presenza fisica e la comunicazione verbale si sono rivelate come antidoti al circuito vizioso della solitudine, della malinconia e dell'isolamento: l'atto di sedersi, l'uno di fronte all'altro, e di parlare faccia a faccia, per ridiscutere un'identità personale troppo spesso solo identificata con il posto di lavoro, a discapito della vita affettiva e dei legami personali. L'esperienza ha modificato, di fatto, il corso degli eventi, stringendo forti relazioni tra gli individui, e proponendosi come sostegno morale e psicologico comune: diversamente da quanto troppo spesso accaduto in casi simili, nessun operaio in cassa integrazione si è tolto la vita.

Lo scorso luglio, Isacco Landi è stato condannato in primo grado, dalla quarta sezione del tribunale di Roma, a sei anni di carcere: Raimondo ne aveva precedentemente patteggiati quattro. Nel frattempo, il laboratorio di autoaiuto è uscito dalla fabbrica e si è esteso, con cadenza quindicinale, ad altri disoccupati, agli esodati, ai non impiegati, in sedute di briefing tenute nella Camera del Lavoro di Milano. Un bel successo per chi, non per colpa sua, ha disceso la china, toccando il fondo. E non si è vergognato di raccontarlo.

Marco Biasio

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