SCIENZA E RICERCA

La medicina ha bisogno dell’etica

I medici avrebbero voluto intervenire subito operando le due sorelle, ma i giuristi indicarono un’altra linea. Il caso, che ha fatto molto discutere, è quello di due gemelle siamesi, unite al torace e con un cuore unico, nate nel 2011 al policlinico sant’Orsola di Bologna. Le bambine non erano in pericolo di vita. Ci si chiese se intervenire chirurgicamente per separarle o meno. Se una sicuramente sarebbe morta, la possibilità che l’altra sopravvivesse dopo l’operazione era del 15%. Si domandò un parere al comitato di bioetica dell’università di Bologna. “La nostra indicazione fu di non intervenire se non in caso di pericolo imminente e grave di vita. Operare subito, provocando la morte di una delle due, sarebbe stato un fatto grave dal punto di vista giuridico”. Le due gemelle vissero otto mesi, con una buona qualità di vita, senza essere sottoposte ad alcun intervento. A raccontare la storia è Stefano Canestrari, presidente del comitato di bioetica di Bologna e docente di diritto penale nella stessa università, nel corso della recente inaugurazione del laboratorio di bioetica clinica dell’ateneo di Padova, il primo su territorio nazionale. 

Se quello descritto da Canestrari è un caso limite, nella pratica clinica quotidiana i dubbi sono molti. “Le incertezze – continua Paola Frati, docente di medicina legale all’università La Sapienza di Roma, nella stessa occasione – possono riguardare il percorso diagnostico terapeutico, la corretta ponderazione tra rischi e benefici, le preferenze del malato e le richieste dei familiari, non ultimo le allocazioni delle risorse”. Dunque, il confronto tra interrogativi clinici e interrogativi etici è necessario per rendere il trattamento più efficiente. Ma anche per prevenire i conflitti, soprattutto a fronte di un rapporto medico-paziente che nel tempo si è evidentemente allentato.

Non è un caso che una ricerca condotta nel 2010 dall’Ordine dei medici, chirurghi e degli odontoiatri di Roma su un campione di 2.783 medici italiani, dimostri che il 78% dei medici si senta oggi più a rischio di ricevere un esposto o una denuncia rispetto al passato e il 65% si senta sotto pressione nella pratica clinica di tutti i giorni. Il 77% inoltre ritiene che le norme giuridiche che disciplinano oggi la responsabilità professionale si ripercuotano anche sulla qualità delle cure. Tant’è che, sottolinea lo studio, più del 73% dei medici prescrive ad esempio visite specialistiche (il 21% del totale) non solo per propensione personale ma anche per il timore di una denuncia e per la pressione che riceve e per le stesse ragioni il 53% dichiara di prescrivere farmaci (il 13% di tutte le prescrizioni). Con le conseguenze che ne derivano sulla spesa sanitaria. 

A fronte di questa situazione, il laboratorio di bioetica clinica dell’università di Padova offre supporto a medici, infermieri, fisioterapisti, anestesisti ma anche ai malati e ai loro familiari proprio per risolvere questioni etiche e facilitare la soluzione di eventuali conflitti che possono nascere tra il professionista sanitario e il paziente. I singoli casi vengono analizzati dal punto di vista clinico, si mettono a confronto le parti che entrano in conflitto e si cerca di capire le loro esigenze allo scopo di esprimere una valutazione motivata che comunque non è vincolante. Daniele Rodriguez, docente di medicina legale del dipartimento di medicina molecolare e responsabile del laboratorio, non manca tuttavia di puntualizzare. “Personalmente credo che le cose stiano un po’ cambiando. I medici che si rivolgono al nostro servizio sono sensibili ai bisogni del paziente. Chiedono una consulenza non tanto per ragioni di difesa personale, ma proprio per venire incontro alle necessità e alle aspirazioni dei malati”. 

Il servizio ha la sua genesi nel passaggio dalla pratica della medicina legale classica alla medicina legale clinica. “Il nostro obiettivo – spiega Rodriguez – era quello di intervenire non tanto quando il fatto di interesse forense era ormai avvenuto, ma nel momento in cui il processo di scelta si stava sviluppando per facilitare le decisioni dei professionisti sanitari”. Ogni problema veniva affrontato sulla base dei riferimenti del diritto, della codificazione deontologica delle varie professioni sanitarie e in ottica bioetica. “Via via ci siamo resi conto che, di fronte a riferimenti normativi talora insufficienti a dirimere le questioni che ci venivano sottoposte, la chiave di interpretazione che tendevamo a dare era sempre di carattere etico. Ed è stato così che il laboratorio è nato, in modo spontaneo, in base alle richieste del pubblico”. Istituito formalmente nel 2013 e ottenuta la certificazione di qualità nel gennaio 2014, il laboratorio ha sede negli spazi di Medicina legale in via Falloppio ed è composto da Anna Aprile e Luciana Caenazzo medici legali del dipartimento di medicina molecolare, Pamela Tozzo, medico legale specialista in bioetica, e Vittoria Marchese, giurista.  

I casi di consulenza più frequenti che il gruppo di lavoro si è trovato finora ad affrontare riguardano il rifiuto di sottoporsi a trattamenti sanitari, sebbene indicati in base a prove di evidenza scientifica, da parte del paziente o da parte dei genitori nei confronti dei figli minori o ancora da parte di persone incapaci di autodeterminarsi ma che abbiano lasciato testimonianza scritta delle proprie volontà. “In queste circostanze – argomenta Rodriguez – il problema è dato dal fatto che questi trattamenti consentirebbero l’allungamento della vita di giorni, settimane, mesi ma in condizioni che gli interessati ritengono non coerenti con la propria concezione di vita”.  Esistono poi casi di gestione del segreto professionale e della riservatezza. “Alcuni pazienti – spiega il docente – non vogliono che la patologia di cui soffrono venga indicata nella cartella clinica, per impedire che altri ne vengano a conoscenza. Al contrario, questo tipo di informazione è molto importante per eventuali altri professionisti sanitari e per la presa in carico complessiva del paziente”.   

Accanto all’attività di consulenza si collocano attività di ricerca e di formazione per la diffusione della sensibilità etica in ambito clinico e per favorire l’allargamento del gruppo di esperti. L’attività didattica viene condotta sia nelle aule universitarie (nei corsi di laurea, nei master, nei corsi di dottorato e nelle scuole di specializzazione dell’ateneo), sia in strutture sanitarie o istituzioni pubbliche. Ma la formazione avviene anche nell’ambito della consulenza, nel corso della quale vengono illustrati i principi generali cui ci si riferisce perché possano servire da guida alla persona in circostanze simili. 

Monica Panetto

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