SOCIETÀ

La miseria fino all’ultima dimora

L’onda lunga di una povertà crescente non risparmia neppure il confine dell’ultima dimora: in questo Nordest dipinto come una sorta di catena di montaggio degli “schèi”, c’è chi non ha nemmeno i soldi per pagarsi il funerale: obiettivo per il quale i nostri vecchi erano abituati a mettere da parte i risparmi con largo anticipo. Ma adesso che i soldi non bastano neanche per arrivare a fine mese, figuriamoci se ci sono margini praticabili per il fine vita.  E allora ecco intervenire la vecchia ma non consunta solidarietà veneta. Per trovarne un esempio basta andare alla periferia di Mestre, zona di Carpenedo. Dove dal 1978 ha sede la IOF, Impresa Onoranze Funebri salita all’onore delle cronache anni fa per la scelta di sponsorizzare una squadretta di calcio.

Spiega la titolare, Eliana Busolin: “Spesso, all’angoscia per la perdita di una persona cara si aggiungono problemi di ordine economico e familiare. In alcuni casi interviene il Comune per pagare il servizio funebre, ma sempre più di frequente sono gli stessi parroci a segnalarci situazioni di disagio alle quali noi veniamo incontro, fino a fare il funerale gratis”. Non è una situazione legata a un circoscritto Bronx nordestino. È ancora fresca di stampa una ricerca su vecchie e nuove povertà a Venezia, in collaborazione tra due consigli di quartiere, l’università di Ca’ Foscari e l’Istituzione Veneziana per i Servizi alla Persona. Ne emerge un doppio binario di impoverimento: quello tradizionale, legato alle disponibilità economiche; e quello relazionale e affettivo, innescato da eventi improvvisi e traumatici come una rottura coniugale, la perdita del posto di lavoro, una malattia invalidante, uno sfratto.

Il quadro complessivo non lascia spazio a manipolazioni statistiche: l’ostacolo di gran lunga principale viene indicato nel caro-bollette, seguito dal costo degli affitti e dalla spesa alimentare. Insomma, il caro-vita quotidiano, cui si reagisce arrampicandosi lungo il sesto grado di tutto, inventiva compresa: non sono rari i casi di abitazioni di gruppo, in cui persone non apparentate tra loro condividono l’alloggio per poter sostenere il costo mensile dell’affitto. Il tutto in assenza di risposte adeguate da parte delle istituzioni: la netta maggioranza delle segnalazioni sottolinea l’insufficienza dei servizi.

La ricerca propone anche una serie di testimonianze che da sole valgono un’intera relazione. Come quella di Michela, 41 anni, straniera sposata con un padovano, col quale oggi vive a Mestre, e che sta cercando lavoro dopo aver sgobbato per sette anni tra Conche di Codevigo e Chioggia, a raccogliere radicchio, asparagi e pomodori nei campi, prendendo da 5 a 8 euro all’ora. O come quella di Graziella, 36 anni, anche lei passata per la raccolta di verdure, oggi senza occupazione, e che ha battuto a tappeto Venezia attaccando sui muri decine di bigliettini col proprio numero di telefono, proponendosi per qualsiasi lavoro.

Più si scava nelle povertà sommerse del Nordest, più si scopre un sistema di cerchi concentrici che si allargano fino a inglobare l’intero territorio. Ne dà prova un’altra ricerca della Regione Veneto: su 1.850.000 famiglie residenti, quelle povere sono 78mila, il che equivale a un indice di povertà pari al 4 per cento. Considerando un dato medio di 3 persone per famiglia, ne esce una popolazione pari a quella di una città come Padova. C’è chi, se possibile, è ancora più povero. L’indagine ha messo la lente in particolare sul popolo dei senza dimora, gente che ha come riferimento primario le stazioni ferroviarie: dove ci sono maggiori possibilità di procurarsi risorse per mangiare, dormire, trovare comunque rifugio. Ma la mappa di questa miseria a cielo aperto ha mille altri approdi di fortuna: ponti, sottopassaggi, piazze, giardini, pensiline, case abbandonate e diroccate, portici. Di giorno, ognuno si arrangia come può, spesso attingendo alle non poche risorse che la mano pubblica o il buon cuore privato mettono a disposizione: le mense e i centri di distribuzione vestiario hanno un’utenza che può variare di giorno in giorno, ma che mediamente si aggira tra il 65 e il 70 per cento; l’80 per cento offre i servizi doccia; i dormitori pubblici hanno un’utilizzazione media attorno al 95 per cento. In tutto, per limitarsi alle persone censite, ci sono oltre 1.200 senza dimora in giro ogni giorno per il Veneto; ma il sommerso è sicuramente superiore, e non di poco.

Se ne può tracciare un identikit: maschio (quasi nove persone su dieci), tra i 25 e i 45 anni, italiano (quasi uno su due). Ma ci sono anche quote significative di anziani (il 15 per cento è fatto da ultrasessantacinquenni) e di stranieri (27 per cento africani, 21 di provenienza dall’Est europeo). Esistono situazioni diffuse di disagio: in quattro casi su dieci, la dipendenza da sostanze; per uno su quattro, un disturbo fisico; per uno su cinque, un disturbo psichico. È una realtà molto più articolata di quella dei classici barboni, che facevano quasi parte del panorama urbano fino a diventarne in certi casi perfino una nota folkloristica. Oggi è la stessa esistenza di molte, troppe persone a essere diventata una dura scuola di precariato. Dalla quale la stragrande maggioranza esce comunque bocciata, anche nel ricco e solidale Nordest. Ed è una bocciatura che dura, e vale una vita.

 

Francesco Jori

da Il Gazzettino, ottobre 2005

 

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