IN ATENEO

La Shoah e il dovere della memoria

La ricorrenza del 27 gennaio è divenuta una data simbolo che richiama anche quest’anno, a distanza di quasi settant’anni, il ricordo di quel 27 gennaio 1945  in cui è stato aperto e per così dire liberato dalla barbarie nazista il campo di concentramento di Auschwitz.

Si tratta di una data simbolo che, impressa in modo indelebile nella memoria di quanti hanno vissuto direttamente o indirettamente la shoah, la persecuzione e il tentativo di sterminio del popolo ebraico – tragedia annidatasi nel cuore dell’Europa a metà del “secolo breve”, del Novecento – è giusto venga trasmessa, con tutta la sua forza dirompente e evocatrice, anche alle giovani generazioni nate e cresciute in un’epoca che appare ormai tanto distante, non solo dal punto di vista cronologico, ma soprattutto dal punto di vista dell’ethos culturale, rispetto al dispiegarsi degli eventi che questa data, nonché la memoria della medesima è destinata ad evocare.  

In realtà, attorno alla giornata della memoria, molti sono gli eventi che vengono promossi ogni anno, sia che si tratti di istruttive e meritorie iniziative editoriali come pure di eventi celebrativi deliberati dalle istituzioni pubbliche, nonché, con finalità più specificamente didattiche, da vari enti  culturali e  scolastici. E anche dall’università, non solo come evento commemorativo di pur tragiche vicende storiche del passato, bensì anche e soprattutto come evento culturale e didattico destinato ad  incidere sull’attualità  come essenziale momento formativo delle coscienze.

La memoria della shoah è carica di messaggi per il nostro presente. Il ricordare fa emergere nelle coscienze in primo luogo il riconoscimento del grande e permanente debito che la nostra cultura, la nostra civiltà, la nostra stessa vita democratica hanno nei confronti dei valori e delle proposte di pensiero di cui la tradizione ebraica è stata portatrice nel corso dei secoli, a partire dal suo radicamento nel modello dell’esodo, evento di liberazione dalla schiavitù, trasmesso di generazione in generazione come evento fondativo della stessa identità ebraica e ad un tempo richiamo e simbolo permanente di ogni movimento di liberazione da ogni forma di asservimento.

In secondo luogo, tenere viva e attuale la memoria di avvenimenti che oggi possono apparire inconcepibili, in quanto rappresentano la negazione stessa delle basi del vivere civile, dei valori fondanti della civiltà europea, induce a interrogarsi ancora una volta sul come una simile moderna barbarie sia stata possibile, senza aver suscitato una generalizzata rivolta delle coscienze. Si tratta di un’interrogazione salutare e dolorosa che apre la via alla vigilanza ed all’impegno più fermo all’insegna del “mai più mai più”. Hannah Arendt ha parlato della “banalità del male” segnalando come l’ottundimento delle coscienze possa generarsi quasi impercettibilmente dalla mancata vigilanza, dalla caduta del senso etico, dall’oblio sulle vicende della storia passata e presente.

L’antidoto a tutto questo va certamente ravvisato nell’impegno a risvegliare le coscienze dei più giovani e dei meno giovani che anche oggi rischiano di essere disorientate e distratte se non    obnubilate dalla molteplicità dei messaggi, sovente contraddittori, nonché dalla grande mole di informazioni per lo più prive di un preciso ordine e di una gerarchia di valori, che gli strumenti tecnologici sono in gradi di riversare nella vita di ogni giorno. Per non dire di irresponsabili e strumentali revisionismi da bar che banalizzano colpevolmente questioni rilevanti e nodali. Risvegliare le coscienze dei giovani al senso delle alternative fondamentali che vedono contrapposti il bene ed il male, l’affermazione dei valori della tolleranza civile, dell’accettazione delle diversità e la loro più o meno radicale, più o meno consapevole  negazione è un preciso dovere etico per tutti noi e soprattutto per chi esercita funzioni di formazione.

Il nostro Ateneo costituisce la più rilevante istituzione culturale presente nel territorio del Veneto, rilevante per l’antichità delle sue origini, per la molteplicità dei saperi  che vi sono coltivati, non meno che per le dimensioni quantitative che raggiungono, con le sue offerte formative, oltre sessantamila studenti. Certo, si tratta di offerte formative che si sostanziano in molti casi nella trasmissione di conoscenze scientifiche e tecniche, tuttavia l’Ateneo verrebbe meno alla sua  vocazione precipua se non si proponesse altresì l’obiettivo  di trasmettere alle giovani generazioni il senso dei valori etici e civili, delle grandi opzioni di fondo, quali sono quelle che scaturiscono dal giorno della memoria.

La comunità universitaria padovana, in tutte le sue componenti, saprà accogliere e far proprio il messaggio e le sollecitazioni preziose che provengono da questa celebrazione.

Meglio non saprei concludere che con queste parole tratte dal Diario di Etty Hillesum:

“Ma cosa credete, che non veda il filo spinato, i forni crematori, il dominio della morte? Sì, ma vedo anche uno spicchio di cielo, e in questo spicchio di cielo che ho nel cuore io vedo libertà e bellezza”.

Giuseppe Zaccaria

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