SCIENZA E RICERCA

L'algoritmo della vita eterna. Con Google

Un anno è trascorso da quando il Time ha lanciato in copertina un interrogativo che, in una manciata di parole, mette in luce alcune tra le contraddizioni più evidenti della nostra epoca, attraversata da paure ancestrali e dal desiderio altrettanto antico che il futuro, oggi sotto forma di tecnologie nuove e avanzate, riservi finalmente agli umani quelle “magnifiche sorti” su cui ironizzava Leopardi: “Google – ecco la domanda – è in grado di trovare una soluzione alla morte?”.

In quei giorni, infatti, la multinazionale di Mountain View e in particolare uno dei due fondatori, Larry Page, annunciavano con orgoglio la nascita di Calico (California LIfe Company), una società concepita per effettuare ricerche nel campo della salute, ma per la quale non si nascondevano obiettivi estremamente ambiziosi, come “una radicale estensione della vita”, per citare la dichiarazione di Bill Maris, managing partner di Google Ventures al Wall Street Journal.

All'inizio di questo mese, quasi in concomitanza con il suo primo compleanno, Calico ha dato notizia di una partnership con AbbVie, gigante della farmaceutica con sede a Chicago (e presto anche nel Regno Unito grazie all'acquisizione della britannica Shire). Obiettivo dell'alleanza da un miliardo e mezzo di dollari – ognuna delle due società coinvolte si impegna a versare 250 milioni di dollari, cui è pronta ad aggiungerne altri 500 – è la creazione a San Francisco di un centro di ricerca sulle malattie legate alla terza e alla quarta età. Da un lato, Calico si occuperà della selezione e dell'organizzazione di una squadra di ricercatori eccellenti che dovranno scoprire nuovi farmaci e seguire le prime fasi di sperimentazione, dall'altro AbbVie, forte della sua esperienza sul campo, si concentrerà sui test clinici, sulla messa a punto dei medicinali e sulla loro commercializzazione.

Per descrivere la partnership, Art Levinson, grande pioniere del biotech e amministratore delegato di Calico, nonché presidente di Apple (e, fino a pochi giorni fa, anche di Genentech, la cui azienda-madre, Roche, è – non incidentalmente – concorrente di AbbVie), ha usato toni enfatici: si tratta infatti di “un punto di svolta” che “accelererà enormemente gli sforzi dell'azienda per comprendere le dinamiche dell'invecchiamento, farà progredire il lavoro clinico e contribuirà a mettere importanti terapie a disposizione dei pazienti, ovunque nel mondo”.

Probabilmente Levinson non esagera, a giudicare dai commenti che hanno seguito l'annuncio della partnership. Scott Strawn, di IDC (International Data Corporation), ha per esempio dichiarato al “Wall Street Journal” che un investimento come quello appena annunciato “è per Google solo una goccia”, ma che “simili alleanze sono cruciali per raggiungere risultati di rilievo, come un allungamento significativo della vita umana”.

Eppure, di fronte alle dichiarazioni dell'ad di Calico, è difficile dar torto a Ben Popper che su The Verge ha alluso a un ridimensionamento delle aspettative espresse a suo tempo da Larry Page. “Noi” aveva detto l'anno scorso a Time il fondatore di Google “pensiamo alla cura per il cancro come a una cosa enorme, capace di cambiare il mondo. Se però si osserva la situazione in prospettiva, certo, i casi di tumore sono tantissimi, e questo è molto triste, ma nel complesso non si tratterebbe di un progresso sconvolgente come si potrebbe pensare”. Insomma, senza dirlo esplicitamente, Page aveva lasciato intendere di avere in mente qualcosa di più grande, molto simile all'immortalità. “Sotto questa luce” commenta Popper “l'alleanza tra Calico e AbbVie, per quanto ambiziosa e ammirevole, è assai meno futuristica rispetto agli obiettivi che Google aveva lasciato intuire”.

Resta però da vedere se davvero Page e gli altri abbiano abbandonato il sogno dell'elisir di lunga vita per mirare “semplicemente” alla scoperta di medicinali che rendano sopportabili ai vecchi, e di conseguenza a chi li assiste, le malattie di cui è costellato l'ultimo tratto dell'esistenza umana (è dell'altro giorno l'annuncio che Calico ha acquisito i diritti per la ricerca sui composti P7C3, molto efficaci, pare, per contrastare i processi neurodegenerativi, dal Parkinson alla Sla). In realtà, nulla esclude che il nuovo centro di ricerca californiano punti in entrambe le direzioni, quella più immediata e imprenditoriale e l'altra, più utopica, nello spirito messianico caratteristico di molti tecnoimprenditori, da Peter Thiel, cofondatore di PayPal e convinto sostenitore della necessità di impiantare comunità extraterritoriali e post-democratiche in mezzo agli oceani, a Steve Jobs, fino allo stesso Page.

Del resto, gli studi per prolungare a dismisura l'arco della vita umana non sono una esclusiva di Silicon Valley. Secondo Cadell Last, ricercatore del Global Brain Institute, siamo alla vigilia di un salto evoluzionistico che porterà nell'arco di pochissimi decenni l'aspettativa di vita a 120 anni. E due ricerche condotte a Harvard e pubblicate su “Science” hanno dimostrato che i topi anziani vengono rinvigoriti da iniezioni di GDF11, una proteina presente nel sangue dei giovani topi – e dei giovani umani. Un risultato che pare confermare secoli di truci leggende, anche se Lida Katsimpardi, autrice di uno dei due studi, specifica che oggi non c'è bisogno di vero sangue e che l'obiettivo dell'esperimento, più di un forzato ringiovanimento, è di nuovo la lotta alle malattie neurodegenerative.

Vero, probabilmente – quanto è vero che, millennio dopo millennio, l'immortalità e l'eterna giovinezza resistono come miraggi duraturi ai quali noi umani continuiamo a tendere, usando le tecnologie cui abbiamo accesso in quel momento. Difficile prevedere cosa faremmo di questi doni, il giorno in cui ne entrassimo in possesso. Poco, purtroppo, se vogliamo dar retta a Seneca che nel suo De brevitate vitae si è occupato di questo tema:  “Non è che il tempo di cui noi disponiamo è scarso, è che ne perdiamo molto”.

Maria Teresa Carbone

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