UNIVERSITÀ E SCUOLA

Lucio Russo: basta con la scuola per consumatori

Lucio Russo, fisico, filologo e storico della scienza è stato a Padova per presentare il suo nuovo libro L’America dimenticata. I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo, in cui analizzando alcuni passi della Geografia dimostra come i Cartaginesi conoscessero con buona approssimazione le coordinate delle Piccole Antille – un dato che modifica sensibilmente la nostra idea nella durata e nella natura dei viaggi transoceanici nell'epoca alessandrina. Ma se questo libro indagando le grandi scoperte prosegue nel lavoro di recupero delle conoscenze scientifiche dell'antichità, nel quale l'autore è impegnato da tempo. Russo, docente di calcolo delle probabilità all'università Tor Vergata di Roma, si è occupato spesso anche di istruzione, università, scuola e formazione. Partiamo  da un suo pamphlet di qualche anno fa, Segmenti e bastoncini. Dove sta andando la scuola? per discutere con lui del sistema scolastico italiano.

Cosa pensa della sperimentazione introdotta dal ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza per cui in alcuni licei il ciclo di studi avrà una durata di soli quattro anni? La mia impressione è negativa, a dire il vero. Mi sembra che togliere un anno al liceo non sia una buona idea. Se l’obiettivo è quello di far terminare prima le scuole superiori e mandare i ragazzi all’università con un anno di anticipo, personalmente preferirei rinforzare la scuola dell’infanzia e togliere un anno alle scuole elementari. Questo perché non si può svuotare la nostra tradizione culturale e non si può ridurre la scuola a un luogo di sola socializzazione, deconcettualizzando l’insegnamento.

Lei definisce l’istruzione italiana una scuola per consumatori. Quanto crede che la larga diffusione delle nuove tecnologie e dei nuovi media abbiano inciso sulla massificazione del sistema scolastico del nostro Paese? Il lusso delle nuove tecnologie può essere molto utile. Quello che è negativo è non dare nessuna idea del perché funzionino. L’importante è avere un ruolo anche attivo verso le nuove tecnologie, non solo di consumatori passivi. La cosa triste è che queste vengono prodotte in luoghi lontani con strumenti intellettuali che rimangono sconosciuti. Per farle un esempio, abbiamo rinunciato a produrre computer ma almeno i software si dovrebbero produrre anche da noi.

Dopo la riforma Berlinguer, che ha chiuso il Novecento, il nuovo millennio ha visto un susseguirsi di tentativi più o meno riusciti di riformare l’istruzione italiana. A me sembra che la direzione di queste riforme sia rimasta fondamentalmente la stessa. Ciò che mi pare positivo è che, mentre all’epoca della riforma Berlinguer mi trovavo in netta minoranza nel criticarla, circondato da una marea di insegnanti che picconavano sulle scuole convinti di farle progredire, adesso è molto più diffuso lo scetticismo che, mi auguro, incarni il primo passo per invertire la tendenza.Come vede il futuro della scuola e della ricerca italiana? La domanda è terribilmente complessa. Auspicherei dei cambiamenti radicali che siano tempestivi, vista la gravità della situazione. Ma a dire il vero non ci spero troppo. Mi sembra più concreta la possibilità di salvare qualche isola piuttosto che il settore dell’istruzione nella sua interezza. Sarebbe importante non smarrire del tutto la memoria, soprattutto. È forse l’unica possibilità di poter generalizzare, quando i tempi saranno più maturi, alcune conquiste iniziali. Se mai arriveranno, ovviamente.

Gioia Baggio

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