SOCIETÀ

Lusso, seduzione, potere

"Cosa sono i milioni, quando in cambio ti danno le scarpe?" L'interrogativo è di Elio, il genio delle Storie Tese. Per dire, le bambine cominciano a infilarsi le decolleté delle madri appena riescono a reggersi in piedi, anche le più scalmanate fautrici del barefooting (salutare pratica dell'andare a piedi nudi in tutte le stagioni che fa benone e non costa), anche quelle che hanno madri amanti soprattutto di scarpe flat. Il perché in effetti è un mistero, non può dipendere solo da Cenerentola (che all'inizio si sa, calzava pantofole di pelo, poi divenute scarpe col tacco di vetro per un errore di trascrizione nella favola tra vair - roditore la cui pelliccia rivestiva la calzatura- e verre/vetro).

Forse parte della ragione nasce dal fatto la scarpa col tacco è il simbolo per eccellenza della mascherata, e infatti ha conosciuto una delle sue prime epoche d'oro e di uso consapevolmente estetico a Venezia dove tra il 1400 e il 1700 facevano furore le chopine, zeppe citate anche da Shakespeare. Oltre al travestimento, l'altra costante della storia, da molti indagata e celebrata, delle scarpe col tacco alto, è quella di essere costose e di aumentare autorevolezza e potere seduttivo di chi le indossa.

Prendiamo i soliti greci antichi: a teatro gli altissimi coturni erano usati per le tragedie mentre il soccus, una pantofola bassa, per la commedia; erano altissismi anche i preziosi baucides, e talvolta avevano una suola lavorata in modo da lasciare un messaggio sulla polvere della strada (inviti ad essere seguiti/e, in prevalenza) come neanche in una moderna campagna di marketing alternativo: erano scarpe da lavoro (no, non quelle da cantiere), appannaggio delle escort dell’epoca. Il mondo dell'amore mercenario ha sempre trovato un forte alleato nel tacco alto e ne ha condizionato la produzione: vuole la vulgata che, nei puritani e pruriginosi Stati Uniti a fine Ottocento, queste scarpe siano state rese accettabili da una cocotte che da un bordello parigino le avrebbe importate in uno di New Orleans (perpetuando così il gemellaggio modaiolo tra Nuovo Mondo e la città natale della povera  pulzella Giovanna, assai lontana dai tacchi alti, poiché la prima scarpa col tacco in una cerimonia nuziale pare sia stata sfoggiata da Caterina dei Medici nel 1533, in occasione delle sue nozze con il duca di Orléans).

Guardando più vicino, nelle Marche, regione di grande produzione calzaturiera, più di un'azienda s'è rilanciata nel mercato negli ultimi due lustri con la produzione di decolleté dal 43 in su (e se devo spiegarvi il perché è un problema vostro). Sono realtà imprenditoriali che fanno da contraltare a quelle specializzate in griffatissime tacco12 numero 33-34-35 a beneficio di mogli cinesi o giapponesi dal piede piccolo ma dal grande conto in banca. Sono le pronipoti delle geishe che servivano il tè su zeppe altissime, nella relativa - antichissima - cerimonia.

Dunque costose, peccaminose, simbolo di potere: questo sono (quasi sempre state) le scarpe col tacco, anche se pare proprio che all'inizio venissero usate dagli antichi  macellai egizi per non sporcarsi col sangue che ricopriva i pavimenti delle loro botteghe,  e dai cavalieri mongoli per non perdere le staffe. Che poi, dentro metafora stiracchiata, l'uso si è perpetuato, ché nulla calma di più del guardare il mondo e le sue brutture sanguinose dal primo piano di un tacco12.

Lo sapeva bene Cenerentola e oltre a lei anche la strega dell'Ovest nel Mago di Oz, che ha ne ha fatte di cotte e di crude alla povera Dorothy Gale per assicurarsi le sue scarpine col tacco rosse: rosso Loboutin, rosso Re Sole (che decretò tale colore appannaggio nelle calzature della sola nobiltà). Rosso Fleming, a onor del vero, il regista del film del 1939 sul Mago che le volle, loro originariamente d'argento,  scarlatte e luccicanti.

“La suola rossa delle mie scarpe è come un fazzoletto che una donna elegante lascia cadere se ha visto un uomo che la attrae” ha dichiarato Christian Louboutin il quale ultimamente ha pensato bene di usare quel colore anche per l'oggetto, a suo avviso, più parigino che esista: il carrello della spesa, quello che da noi usano le nonne e che ci auguriamo, nella versione griffata, non agganci mai tra le ruote la buccia fradicia di qualche prodotto ortofrutticolo, specie se la spingitrice o lo spingitore sta facendo shopping in cima a tacchi coordinati con la borsa a rotelle.

Tornando alla seduzione leggiamo su Wired, di uno studio scientifico condotto dal solito ricercatore, inglese stavolta, tale Prof. Paul Morris, sull'ancheggiare in cima ai tacchi; studio che ha portato a un risultato cui forse potrebbe giungere anche senza laurea ogni feticista: la camminata sopraelevata è sessualmente più attraente. Questo perché il tacco alto aumenterebbe artificialmente la femminilità di andatura che l'analisi biomeccanica mette in relazione con la ridotta lunghezza del passo e conseguente maggiore rotazione e inclinazione delle anche (l'ancheggiamento femminile è legato al ciclo dell'ovulazione e manda messaggi forti e chiari).

Se la carica di seduzione è comprovata dalla scienza, l'autorevolezza è dimostrata dall'osservazione: tanti grandi piccoli Capi hanno voluto sopraelevarsi a parte quelli sicurissimi di sè, Napoleone (che fece tornare le imperiali calzature rasoterra) e forse Sarkozy, che come molti bassotti ha per compensazione la moglie alta (che nelle foto di coppia si autoinfligge castigate ballerine).

Oggi la moda concede a donne carriera o semplicemente molto indaffarate ottime alternative invernali alla superpiatta "scarpa da danza migliorata": le scarpe da uomo, al limite alzate fino al mediocre mezzo tacco amato dagli ortopedici, da Nonna Papera e da Mary Poppins. Sono eleganti, dette anche alla Churchill (che insomma, di potere ne evoca), perversamente maschili appunto, soprattutto stringate: è l'aggettivo che si usa per indicare concisione, riservatezza, anche un filo di taccagneria, ma siamo nel 2014 ed è l'austerity, bellezza.

Silvia Veroli

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