UNIVERSITÀ E SCUOLA

Master universitari: la concorrenza parla inglese

Le università europee parlano sempre più inglese, soprattutto quando si tratta di attrarre studenti di eccellenza. Secondo una ricerca dell’Institute of International Education, infatti, dal 2011 a oggi l’offerta dei corsi master in inglese in paesi non anglofoni è aumentata del 38%; una percentuale che comprende sia i corsi insegnati interamente in lingua veicolare, dove l’aumento è del 43%, che quelli in cui l’inglese viene usato solo parzialmente (+ 19%). Si rivela così una tendenza che il Regno Unito interpreta come una minaccia, un “tentativo di portare via dalla Gran Bretagna studenti internazionali potenzialmente lucrativi in favore dell’Europa continentale” (TheTelegraph); ma di questa situazione non può sentirsi del tutto incolpevole, data la recente ed esponenziale crescita delle tasse universitarie nel  sistema britannico.

I fattori dell’ascesa dei master in formato “esportazione” sono vari: dalla situazione economica, all’andamento demografico, alle normative dei governi. Quest’ultimo rappresenta un elemento particolarmente pressante oggi nelle università francesi, storicamente chiuse all’uso di lingue straniere nell’insegnamento, ma che a partire dal progetto  di legge del ministro dell’università Geneviève Fioraso sembrano in procinto di aprirsi verso una deroga alla legge Toubon del 1994, mettendo in prima fila business school d’élite e grandes écoles. Nell’ultimo anno e mezzo la Francia registra infatti un aumento del 43% dei master insegnati in inglese, che la portano dall’ottavo al quarto posto nel ranking delle nazioni europee per numero di corsi in lingua veicolare.

In testa alla lista spiccano invece Olanda e Germania; ma dal 2011 sono stati Danimarca e Svezia a registrare il tasso di crescita più veloce con, rispettivamente, il 74% e il 73%, a testimonianza del  processo graduale dei paesi scandinavi verso una quasi completa trasformazione in inglese della propria offerta formativa. La Scandinavia dunque, partendo da un numero già considerevole di corsi offerti in inglese, soprattutto se rapportati alla popolazione, ha continuato ad aumentarne il numero. È esemplificativo il confronto fra i casi di Italia e Finlandia, che registrano entrambi un incremento superiore al 50%; il tasso del nostro Paese raggiunge addirittura il 60%, ma parte da una base piuttosto ristretta, di poco superiore a quella finlandese. E con le debite proporzioni: l’offerta didattica italiana deve fare fronte a un popolazione che supera i 60 milioni, dove la Finlandia deve soddisfare solo 5 milioni di abitanti. Incide in parte anche una certa resistenza italiana alla diffusione dell’inglese come lingua unica d’insegnamento, che sembra trasparire anche nella recente decisione del Tar di bocciare i corsi solo in lingua inglese del Politecnico di Milano. Più che in Italia, di possibilità formative ce ne sono anche in Spagna, al quinto posto del ranking, e in Danimarca, al sesto. Dopo di noi la Svizzera, la già citata Finlandia e il Belgio.

Rispetto al 2011 non è cambiato molto nella distribuzione disciplinare dei master in inglese. I campi di studio più popolari continuano ad essere economia (28%), ingegneria e discipline tecnologiche (21%), che insieme totalizzano quasi la metà del numero totale dei master erogati in inglese e registrano, in circa un anno e mezzo, un incremento nell’offerta pari al 44%. Il 14% dei corsi, poi, appartengono all’area delle scienze sociali; sotto al 10% resistono le scienze naturali, i corsi di area umanistica, le scienze applicate e le discipline professionali e artistiche.

Considerando il traffico nel portale StudyPortals.eu, la ricerca individua inoltre uno slittamento geografico nelle scelte, o almeno negli interessi, degli studenti. I dati del portale, infatti, mostrano una diminuzione nelle visite alle pagine dei programmi master offerti dal Regno Unito, scese dal 31% nel 2011 al 24% nel 2013. Un accresciuto interesse sembra invece investire i corsi tenuti in altre zone d’Europa, come in Germania, le cui visite alle pagine informative hanno visto un aumento dal 14% al 18%.

La ricerca non dà indicazioni sulla possibilità o meno di un’ulteriore aumento del numero dei master in inglese in Europa: alcune realtà europee appaiono saturate, come la Germania, mentre altre, come l’Italia, mostrano ampio spazio per una crescita. Le mete tradizionali per lo studio in lingua inglese, come la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l’Australia, non possono dunque più essere date per scontate. Il redditizio mercato internazionale dell’educazione universitaria fa sempre più gola.

Chiara Mezzalira

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