SCIENZA E RICERCA

Messaggi quantistici contro le spie

La pagina che state leggendo non si trova sul vostro computer. Tutte le informazioni cui avete accesso, il testo, le immagini, i link, si trovano nella memoria di un’altra macchina, ma, attraverso il web, queste informazioni possono viaggiare fino al vostro schermo. Internet funziona proprio grazie alla capacità di poter leggere da una memoria e riscrivere quell’informazione come un messaggio che arriva fino al vostro schermo. L’uso delle memorie è quindi fondamentale per l’esistenza di internet.

Molto spesso, però, i dati che viaggiano in rete sono riservati – per esempio, il numero di una carta di credito con cui si compie un acquisto – e vorremmo che non fossero disponibili a malintenzionati. Per questo, è allo studio la possibilità di usare luce quantistica per proteggere informazioni sensibili con una chiave crittografica molto potente. Il principio di base è questo: un messaggio quantistico non può, in generale, essere letto per intero e ogni volta possiamo leggerne solo una parte. Questo vuol dire che, se una spia andasse a intercettare il messaggio segreto, potrebbe ottenerne una copia molto cattiva. Il ricevente, scambiando altre informazioni con la sorgente, può così accorgersi che ci sono degli errori introdotti dal goffo tentativo della spia.

C’è un prezzo: siccome l’informazione non si può leggere, non si può nemmeno riscrivere su una memoria standard. Tuttavia, le memorie sono importanti per costruire dei ripetitori che funzionano sulla capacità di riscrivere informazione su luce che non sia stata degradata dalla trasmissione in una lunga fibra ottica. Occorrono allora delle memorie quantistiche in cui si possa immagazzinare il segnale senza mai andare a leggerlo.

Molti tipi di memorie sono state proposte e dimostrate e quasi tutte richiedono la capacità di trasferire l’informazione che c’è sulla luce ad alcuni atomi. Questi, se sottoposti ad una interazione controllata con la luce trasmessa, cominciano a oscillare in sincrono e queste oscillazioni dipendono proprio dall’informazione contenuta all’inizio nella luce. Purtroppo, tutti gli esperimenti realizzati finora sono molto complicati e richiedono di uscire dalla fibra ottica e raggiungere gli atomi contenuti in un’ampollina di vetro, a costo di alte perdite che rendono il ripetitore pressoché inutile.

Un gruppo dell’università di Oxford ha trovato il modo di semplificare molto questi esperimenti: Michael Sprague e i suoi colleghi hanno dimostrato che è possibile usare una fibra vuota con un diametro una frazione di millimetro invece di un’ampollina per contenere gli atomi. Il loro studio è apparso questo mese sulla prestigiosa rivista Nature Photonics.

L’esperimento consiste nell’inviare della luce a intensità molto basse dentro la fibra dentro la quale sono stati inseriti atomi di cesio. Questi atomi sono trasparenti per il colore utilizzato, perché non rientra tra quelli che essi possono naturalmente assorbire. Se insieme al segnale però si invia anche un secondo impulso luminoso molto più forte, allora l’assorbimento degli atomi è modificato dalla presenza dell’impulso e diventano capaci di assorbire il nostro segnale. Diviene così possibile trasferire l’informazione dalla luce agli atomi – questi, infatti, ‘ricordano’ le proprietà della luce assorbita quando cominciano a oscillare dopo l’assorbimento. Quando è il momento di andare a leggere dalla memoria, si invia un altro impulso intenso che compie l’operazione inversa: invece di far assorbire luce, l’impulso rende possibile l’emissione che, a sua volta, ‘si ricorda’ di come oscillavano gli atomi – di conseguenza, del segnale iniziale.

Non è solo una questione di contenitore, perché l’uso della fibra rende la memoria compatibile con reti di fibre ottiche e, allo stesso tempo, poiché gli atomi sono intrappolati su un volume molto più piccolo, la loro capacità di interagire con la luce è migliore. In questo modo, l’efficienza della memoria – la percentuale di quanta luce viene convertita e poi riestratta – diviene più alta di quanto si potrebbe avere in una semplice ampolla. Certamente, si sono ancora molti aspetti da comprendere e da migliorare: uno dei problemi è che impedire agli atomi di attaccarsi alle pareti interne della fibra, isolandosi dalla luce.

In tutto questo processo, il segnale è sempre solo trasferito dalla luce alla memoria e poi di nuovo alla luce senza essere mai davvero letto, pertanto resta tutto intero. Queste memorie possono allora essere impiegate in ripetitori quantistici che renderanno possibile distribuire informazione quantistica, quindi più sicura, sulle distanze con cui adesso possiamo trasmettere le pagine de Il Bo.

Marco Barbieri

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