CULTURA

Ricchezza artistica e miseria culturale

La cultura non è petrolio, non “sta lì” aspettando di essere estratta e di fornire royalties senza fatica. Il merito del libro di Christian Caliandro e Pier Luigi Sacco Italia Reloaded. Ripartire con la cultura  (Il Mulino, Bologna, 2011) è quello di fare la storia del rapporto irrisolto tra l’Italia e il suo patrimonio artistico e culturale. Il nostro Paese è perennemente sospeso tra l’ansia di una conservazione e trasmissione quasi filologica e la tentazione di uno sfruttamento distruttivo. Nel mezzo, lontana anni luce dalla riflessione accademica e culturale, la realtà di tutti i giorni, con il suo consumo costante del territorio.

Christian Caliandro, giovane storico dell'arte, e Pier Luigi Sacco, docente di economia della cultura, entrambi dell'Università IULM di Milano, affrontano il problema di un paese medio-piccolo e sempre meno importante sulla scena internazionale, alle prese con una storia troppo grande e soprattutto sprovvisto di un’élite politica e culturale consapevole del proprio ruolo. Il risultato è quello di un’Italia in crisi di creatività e di identità, con la testa perennemente rivolta all’indietro e incapace di elaborare un rapporto dinamico con il passato. La radice di questa situazione, secondo gli autori, va cercata nella visione della cultura affermatasi nel nostro paese negli ultimi anni, bene espressa da alcune metafore molto diffuse:

"La percezione del patrimonio come un «tesoro», da scavare e sfruttare (esplicitata dalla famigerata metafora del «giacimento di petrolio», comparsa per la prima volta nei dibattiti parlamentari del Ventennio e definita da Salvatore Settis «metafora stracciona») va di pari passo con quella dei suoi luoghi – le città, i musei, le chiese – come un grande «scrigno». Questa visione, se ci pensiamo bene, ha in sé un che di decisamente lugubre: perché questo scrigno è, di fatto, una tomba." (p. 26)

Una concezione che vede la cultura come cosa altra rispetto alla vita, con le sue esigenze di tutti i giorni, e che di fatto ha contribuito a rendere l’Italia uno dei paesi occidentali più ignoranti: appena il 27% della popolazione ha visitato nell’ultimo anno un sito culturale, contro il 66% della Finlandia, il 58% della Germania e il 57% del Regno Unito; in Italia inoltre una famiglia spende in media appena il 2,9% del suo reddito in film, libri e musei, contro il 5,7% della Danimarca (rapporto Eurostat 2011). In altri paesi insomma si scommette da tempo sull’“economia della conoscenza”, in cui il consumo e soprattutto la produzione culturale sono viste come strettamente collegate, e allo stesso tempo connesse alla crescita del paese. Non è un caso che il presidente Obama abbia messo al la produzione culturale al terzo posto tra i fattori che consentono agli Stati Uniti di mantenere la loro leadership: dopo industria ed esercito, ma prima di politica e media. Già oggi del resto l’industria della cultura e della creatività fattura in Europa il doppio di quella automobilistica.

Come invertire la tendenza nel nostro paese? All’immobilismo e alla sostanziale sfiducia verso il nuovo Caliandro e Sacco contrappongono una concezione della cultura come ecosistema vivo, che deve continuamente rigenerarsi per sopravvivere:

"Come ha scritto efficacemente Ken Robinson in Out of Our Minds (2001), la creatività non è una facoltà separata e appannaggio di pochi, ma è una funzione dell’intelligenza, un processo dinamico con effetti sulla realtà, che si sviluppa solo in un contesto culturale florido e favorevole alle interazioni e agli stimoli reciproci." (p.138)

La sfida è quindi di riuscire a ripristinare i meccanismi sociali della creatività, dando spazio e coraggio alle nuove idee. solo così l’Italia può tornare alla vivacità culturale: un’opzione ancora possibile per la storia e i caratteri intrinseci della nostra civiltà.

Questo ovviamente non significa, secondo gli autori, che alla gestione di un museo o di un canale televisivo si debbano applicare gli stessi meccanismi della produzione di patatine fritte: questo significherebbe anzi appiattire il fenomeno artistico e culturale sulle problematiche collegate alla conservazione dell’esistente e al turismo. Un approccio che ha già trasformato le nostre città d’arte – espressione esistente solo in Italia – in tante piccole “Disneyland di pietra” (L’espressione è dello storico dell’arte inglese Irving Lavin): luoghi della rievocazione di un passato posticcio, piuttosto che di un rapporto vivo con la tradizione storica e artistica.

 

Daniele Mont D'Arpizio

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