CULTURA

Ridere, una sfida al Potere

Verba vana aut risui apta non loqui: non dire parole vane o che inducono al riso. Un precetto della Regola benedettina (IV, 53) evidentemente preso molto sul serio dal monaco Jorge da Burgos, che ne Il nome della rosa uccide chiunque tenti di avvicinarsi al perduto secondo libro della Poetica di Aristotele, colpevole di suggerire che il riso e l’umorismo possano avere altrettanto valore, nella comprensione della natura umana, che la profondità del dramma. Oggi, purtroppo, la vicenda dell’attacco terroristico al giornale satirico Charlie Hebdo ci insegna che per il fatto di ridere o di far ridere si può morire per davvero.

Perché ridere, in particolare dei valori e dei poteri costituiti, è così pericoloso ma allo stesso tempo così importante? Il termine satira deriva dal latino satura lanx, il piatto rituale (lanx) pieno (satura) di pietanze offerte agli dei. E proprio nell’incrocio di diversi stili sta una delle caratteristiche peculiari di questo genere, che ha dato alla nostra cultura alcuni dei suoi maggiori autori. Allo stesso tempo nella parola sembrano riecheggiare anche la figura del satiro, uomo-animale mitico e sensuale, e del dio infero Saturno: eros e morte dunque, e fin dal principio.

Il ruolo della satira è soprattutto sociale: se le origini per alcuni sono legate alla simbologia del corpo e dei suoi istinti più “bassi” e primari, in particolare ai riti di fecondità, per altri la sua funzione nativa è quella di agire “sul senso di vergogna”, riportando all’ordine chi devia dalle regole sociali (come riporta Attilio Brilli in Dalla satira alla caricatura, Dedalo 1985). E questo forse spiega perché la satira possa anche essere una forma aggressiva anche se geniale di conformismo: “Spessissimo i grandi autori di satira sono conservatori o reazionari” spiega Adone Brandalise, docente di teoria della letteratura all’università di Padova. “Prendiamo Aristofane, che nelle Nubi presenta Socrate sospeso al cielo con una cesta: un’idea degna di un vignettista moderno. O che nella Pace si inventa uno sciopero dei sacrifici contro gli dei, per costringerli a concedere la pace. Un’intuizione questa che potrebbe benissimo stare in una vignetta di Charlie”.

In particolare la Satura latina si specializza nella critica morale giocosa: quel castigat ridendo mores  che, passando per i giullari di corte, arriva fino ai Fools scespiriani e ai graciosos spagnoli della letteratura spagnola del Seicento: coloro che possono dire la verità proprio perché ai margini della società. L’ironia infatti è anche sfogo e critica: in qualsiasi società, comprese quelle più chiuse e restrittive per l’individuo. Uno spazio apparentemente giocoso, e allo stesso tempo di verità: “La parola ha sempre una sua forza intrinseca anche quando è pronunciata da chi non ha potere, e a volte può arrivare addirittura a sospendere un rapporto di forza. Questo perché anche il potente può finire catturato da un ragionamento o da un racconto di un suo sottoposto: come ad esempio nelle Mille e una notte, dove il crudele Harun al-Rashid lascia in vita Sheherazade per continuare ad ascoltare le sue storie”.

Più recente il percorso delle vignette. Il primo cartoon viene pubblicato da John Leech sul giornale londinese Punch del 15 luglio 1843: “Ovviamente le rappresentazioni caricaturali c’erano anche prima – spiega Brandalise – la vignetta vera e propria però ha senso e si manifesta solo con i giornali”. Si tratta anche qui di un arrivo, mentre la partenza risale per lo meno alle Imprese rinascimentali: rappresentazioni allegoriche in cui le immagini venivano accompagnate e spiegate da motti.

Ci sono culture maggiormente predisposte all’ironia e al riso? “Non direi: in tutte sono presenti comici e autori satirici, così come fondamentalisti, puritani e iconoclasti. Una delle componenti della tradizione cristiana medievale è ad esempio il disprezzo del mondo, in cui anche il riso e il gioco possono diventare altrettanti cedimenti in un percorso esclusivamente mirato all’aldilà. Non dimentichiamo però che lo stesso termine ‘giullare’ viene da quell’epoca”. E la cultura islamica? “Troppo spesso oggi si dimentica che parte della poesia araba e persiana più emozionante non è conformista ma bensì profondamente trasgressiva e provocatoria: autori come Omar Kayam, Hafez, Rumi e Attar arrivano a idealizzare il vino e l’eros, incluso quello omosessuale. Pensiamo al Sufismo, alla cultura andalusa. Oggi stiamo cedendo alla visione di un Islam esclusivamente wahabita, una setta relativamente moderna e con un rapporto limitato con le sue tradizioni culturali”.

Spazio di verità e di gioco, la satira si trova fin dall’inizio a fare i conti con i suoi limiti: il giullare può adulare oppure arrivare a dire cose terribili del suo principe, rischiando però ogni volta il collo. Oggi spesso si parla del problema del rapporto tra la libertà di espressione e i cosiddetti “crimini di odio” (hate crimes) come il razzismo. Accusa lanciata a suo tempo, assieme a quella di ‘islamofobia’, proprio contro Charlie Hebdo. “Assurdo, Charlie è tutto tranne che un promotore del razzismo” conclude Brandalise. “Anche se, per dissacrare e sfidare il politicamente corretto, si è trovato spesso a dover giocare sui peggiori stereotipi. Questo però è il meccanismo stesso della satira, che costringe anche l’autore più provocatorio a servirsi ogni volta di concetti che possano essere riconosciuti e apprezzati dai lettori”. Un gioco pericoloso, in ogni senso. Anche se in tanta incertezza una cosa è certa: “Fa parte della libertà di espressione la possibilità che qualcuno si senta offeso” ha scritto Olivier Tonneau. “So what? Non si muore per un’offesa”.

Daniele Mont D’Arpizio

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