SOCIETÀ

Robin Hood all’italiana: si toglie ai poveri per dare ai ricchi

In Italia, oggi, Robin Hood lavora al contrario: toglie ai poveri per dare ai ricchi. Una realtà che emerge dal recente rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (Ocse), Society at a glance 2014. “La ripresa economica – si legge nel rapporto – seppur necessaria per far ripartire l’economia italiana e la creazione di posti di lavoro, non sarà probabilmente sufficiente per porre fine alla profonda crisi sociale e del mercato del lavoro che colpisce attualmente il Paese”. E si sottolinea anche la necessità di “affiancare investimenti per un sistema di protezione sociale più efficace che permetta di evitare che le difficoltà economiche diventino sempre più radicate nella società”. E consenta di non ampliare ulteriormente la forbice tra i più e i meno abbienti, che si è molto allargata negli ultimi anni.

La situazione generale non è delle più rosee. Rispetto al 2007 il reddito medio di un italiano è diminuito di circa 2.400 euro toccando nel 2012 i 16.200 euro pro capite. Uno scarto notevole rispetto alla media degli altri Paesi europei in cui la contrazione invece si aggira intorno ai 1.100 euro. La situazione riflette evidentemente le difficoltà che sta attraversando il mercato del lavoro, con le conseguenze che ne derivano. Negli ultimi sei anni l’aumento della disoccupazione in Italia rappresenta più di un quinto dell’incremento totale europeo, con 5.100 lavoratori in meno a settimana: un tasso totale di disoccupazione al di sopra della media Ocse (il 13% a febbraio secondo i recenti dati Istat, cioè 3,3 milioni di persone in cerca di lavoro). Solo poco più della metà ha un impiego (il 55% contro una media Ocse del 66%), numeri con cui il nostro Paese occupa la quarta posizione (ovviamente dal basso) tra i 34 Paesi Ocse. Il part-time involontario, poi, è aumentato in modo considerevole soprattutto per le donne e l’Italia, con la Spagna, ha raggiunto negli Stati Ocse la quota maggiore (14%). 

Categoria particolarmente colpita i giovani: nel 2013 la disoccupazione giovanile ha toccato livelli mai raggiunti prima e i neet (“not in employment, education, or training”), ragazzi tra i 15 e i 25 anni che non sono occupati e non studiano, sono i più numerosi nei Paesi Ocse dopo Grecia e Turchia. La mancanza di un lavoro (o, in alcuni casi, un reddito troppo basso) posticipa la formazione di una famiglia propria e la nascita dei figli. Che oggi sono sempre più figli unici (il tasso di fertilità è di 1.4% figli per donna). Si tratta di una media che riflette una tendenza generale, se si considera che tra il 2008 e il 2011 i tassi di fertilità sono scesi in più di due terzi dei Paesi Ocse.   

A fronte di questa situazione, l’Italia si trova ad affrontare la crisi economica senza un adeguato sistema di previdenza sociale che consenta di superare le difficoltà soprattutto nel lungo periodo. Il sostegno dello Stato a chi perde il lavoro o vede diminuire il proprio reddito è scarso, se si considera che l’Italia investe circa un terzo in meno rispetto agli altri Paesi europei e Ocse in sussidi ai lavoratori. Chi è senza lavoro non può contare su servizi di assistenza nella ricerca dell’occupazione o su corsi di formazione per i quali si spende circa la metà di quello che destinano in media i Paesi Ocse. Meno di quattro disoccupati su dieci ricevono un sussidio di disoccupazione e sono del tutto assenti (unico Paese il nostro con la Grecia in Europa) trasferimenti economici a chi ha redditi bassi. Senza questo tipo di interventi, sottolinea il rapporto, c’è il rischio che le differenze sociali si radichino nel lungo periodo. Basti pensare che, “con una diminuzione dei redditi del 12% in totale tra il 2008 e il 2010, il 10% più svantaggiato della popolazione ha subito perdite molto superiori rispetto al 10% più ricco, per il quale la perdita è stata pari al 2%”. 

In Italia infatti, sottolinea Maxime Ladaique che ha curato il rapporto Ocse, i sussidi erogati dallo Stato (comprese le pensioni che incidono largamente sulla spesa pubblica) non tengono in considerazione l’effettiva condizione economica di chi li riceve: solo il 9,9% considera la ricchezza. Al contrario, ad esempio, di Paesi come Australia e Nuova Zelanda in cui i trasferimenti sociali sono elargiti in base alla situazione patrimoniale di chi ne beneficia. Accade così che i sussidi nel nostro Paese finiscano nelle mani dei più ricchi (146%) e in porzione molto minore in quelle dei più poveri (56%). 

Senza parlare poi dei trasferimenti indiretti. In pratica, ha aggiunto recentemente Nicolò Cavalli, lo Stato “elargisce finanziamenti a pioggia senza un orizzonte strategico” e, alla fine dei conti, accade che le fasce sociali meno abbienti finanzino trasporti, educazione e teatro ai più ricchi. Prendiamo i treni ad alta velocità, utilizzati da chi può permettersi di spendere più di 100 euro per un biglietto: lo Stato negli ultimi 20 anni ha investito 32 miliardi di euro, senza alcun miglioramento invece per i servizi di base, utilizzati dai pendolari che percorrono le tratte più brevi o che scelgono treni più economici. Per non parlare dei 7 miliardi spesi per le università  dei quali, secondo Andrea Ichino e Daniele Terlizzese, 2,5% sono finanziati da contribuenti poveri che non ne beneficiano perché non hanno figli iscritti.  

È necessario dunque che l’Italia avvii una reale politica di sostegno alle classi più vulnerabili, con servizi di assistenza ai disoccupati, all’infanzia, ai gruppi economicamente in difficoltà. Da tempo nel nostro Paese si parla di sussidi di disoccupazione universale e reddito minimo garantito: l’introduzione dell’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) e le proposte dell’attuale governo, sottolinea il rapporto Ocse, sono passi nella giusta direzione. Si tratta di una priorità, quella degli investimenti in ambito sociale, necessaria in tutti i Paesi Ocse che ancora non li prevedono.  

Se il 2014 lascia intravvedere una ripresa da quella che Angel Gurría, segretario generale Ocse, definisce “grande recessione”, nell’eurozona la situazione di alcuni Paesi rimane ancora fragile. Oggi circa 48 milioni di cittadini cercano lavoro, 15 milioni in più rispetto al 2007, e un numero crescente di individui dichiara di non essere soddisfatto della propria vita e dell’azione dei governi. Dal 2007 la percentuale di persone che vivono in famiglie senza reddito da lavoro è aumentata in molti Paesi: del doppio in Grecia, Irlanda e Spagna e del 20% in Paesi tra cui il Portogallo, gli Stati Uniti e l’Italia. Gli investimenti nell’istruzione sono diminuiti in più della metà dei Paesi Ocse e in 11 Paesi su 34, il 15% dei cittadini intervistati afferma di non riuscire a far fronte in modo adeguato ai propri bisogni di salute. I bambini e i giovani, non più gli anziani, sono ora il gruppo sociale più a rischio di povertà. A emergere, dunque,  è una situazione di crisi e di disagio sociale che va affrontata proprio partendo dal basso. 

Monica Panetto

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