UNIVERSITÀ E SCUOLA

Senza lezioni non c'è università. L'insostituibilità del dialogo docente-studenti

 

Entro in aula, li guardo e comincio a parlare. Dico loro che la lezione è il momento più alto che l’Università può dare agli studenti: è l’occasione per capire come si affronta un tema, come si fa da studiosi a scriverne le poche righe che riguardano quell’argomento sul manuale che dovranno portare all’esame.

È l’occasione, per chi studia storia, per rendersi conto cosa significa dire che la storia è sempre contemporanea, o cosa cela dietro la formula “uso politico della storia”. Chi fa questo uso, da quando, come, con quale scopo? Parlavo della società carolingia e della sua vischiosità e mi sono ritrovata a fare riferimento al sistema delle “raccomandazioni”, al significato di “patronato”, e da lì sono arrivata a parlare delle feste dei santi patroni: tutti aspetti anche della nostra vita, dei quali non sempre, o forse ben di rado, si ha piena consapevolezza. Per carità, si può vivere bene ugualmente, ma con un passo che non lascia orma, tutti appiattiti su un presente che non riesce a farsi epoca. 

A lezione presento un tema e le fonti da utilizzare per arrivare a qualche asserzione: le famose poche righe del manuale. Come me fanno in tanti. Leggiamo le fonti, non so, certi passi della “Storia dei Longobardi” di Paolo Diacono che sembrano sceneggiature cinematografiche: la descrizione del paesaggio profondamente modificato dalla peste è magistrale e commovente.

A chi non viene a lezione cosa posso dare? Un elenco di titoli, l’aggravio di qualche testo che lo studente affronterà da solo, portandosi dietro pregiudizi e stili di lettura spesso inadeguati, frutto di preparazioni scolastiche non di rado modeste, affrettate, superficiali.

Poi vengono all’esame e li devo giudicare. Mi si stringe il cuore: cosa ho dato a questi studenti? Cosa resterà loro della storia o della filosofia o di qualsiasi altra materia che non incontreranno forse mai più nel loro percorso di studi e della quale forse non hanno capito il potenziale, il legame con loro stessi, con i problemi di sempre degli uomini, come singoli e come gruppi? In tutti gli ambiti, dal tema delle mescidanze, dei meticciati e del mito della purezza che si può ricostruire dalla “Germania” di Tacito in avanti, a quello dell’importanza della comunicazione chiara ben prima della nascita della semiologia come disciplina.

Se non vengono a lezione, come può un docente costruire un ponte fra i singoli, sempre più isolati davanti al computer o al telefonino, attratti magicamente da una rete di solitudini e non più da una fattualità di relazioni dirette, personali, fra compagni di studi o fra docente e studente? Come si può avviare quell’“erotica dell’insegnamento" di cui parla Massimo Recalcati nel suo ultimo libro? 

La frequenza a lezione è per me restituzione di quello che ho appreso, che ho avuto ma anche che non ho avuto e credo invece vada dato. È un ponte generazionale, è un modo per indurre a leggere altro, per approfondire, spostare l’angolo di visuale, per suscitare curiosità e capacità di porre in relazione temi e questioni ma anche per prendere contezza di distanze incolmabili.

Un’Università che non faciliti al massimo la frequenza delle lezioni adottando ogni possibile stratagemma e anche richiedendo significativi sacrifici ai suoi docenti, e al tempo stesso esigendo la presenza e facendo di tutto per renderla piena di significato e di gusto, è un’università che accetta di perdere la relazione con il futuro, che si lascia respingere all’angolo. Che non crede nella forza dell’insegnamento e del rapporto diretto, personale, nel quale conta sapere e saper insegnare: anche su questa base i docenti vanno selezionati.

L’esito in sede d’esame può non avere diretta relazione con la frequenza ma qualcosa in chi ha frequentato resta comunque, se il professore è stato all’altezza del compito che gli sarebbe richiesto.  Quello che resta è la traccia di un senso nella disciplina affrontata, un senso che rischia di sfuggire rarefacendo il rapporto del singolo con una materia che è un pezzo di mondo, di metodo, un grumo di temi e passioni, un accumulo di interpretazioni ed equivoci. Qualcosa che trasuda vita, quella vera, che è diversa da quella si finge di vivere on line. 

Maria Giuseppina Muzzarelli

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