CULTURA

Shylock in Ghetto: dopo 4 secoli il "Mercante" torna a Venezia

“Se un cristiano è oltraggiato da un ebreo, qual è la sua virtù di tolleranza? La vendetta. Se un ebreo è oltraggiato da un cristiano, quale dovrebbe essere, secondo l’esempio cristiano, la sua capacità di sopportare? Chiaro: la vendetta! La malvagità che mi insegnate io la applicherò, e sarà difficile che non superi i miei maestri”. Da oltre quattro secoli Il mercante di Venezia alimenta, tra i mille dibattiti che ogni capolavoro shakespeariano non manca di suscitare, un dilemma tra studiosi e lettori: la figura di Shylock, l’usuraio dall’”estrema malvagità” (come recita il sottotitolo originale della commedia) è il perno di un’opera limpidamente antisemita? Neanche per sogno, spiega Shaul Bassi, anglista di Ca’ Foscari e fondatore del Centro veneziano di studi ebraici internazionali. Bassi, a Padova per una conferenza nell’ambito del Padua Shakespeare Festival, ha annunciato una notizia che colpirà parecchio i teorici del Bardo antigiudaico: nel 2016, a quattro secoli dalla morte dell’autore di “Amleto” (i 450 anni dalla nascita si celebrano invece quest’anno), il “Mercante” verrà messo in scena nel Ghetto di Venezia. Sarà la prima rappresentazione assoluta, nel cuore ebraico della città, del dramma composto negli ultimi anni del Cinquecento e, insieme, il dissolvimento di uno dei tabù che ha colpito le opere che, per l’uso strumentale (e criminale) che ne è stato fatto, sono state trascinate nell’oblio: una condanna oggi in vigore, ad esempio, per le composizioni di Richard Wagner, ancora ineseguibili dal vivo in Israele malgrado i tentativi pionieristici di alcuni direttori d’orchestra, come Zubin Mehta nel 1981 e Daniel Barenboim vent’anni dopo. Bassi usa per il “Mercante” l’approccio che, a suo parere, ogni grande opera shakespeariana dovrebbe meritare: l’analisi del testo nella sua complessità come viaggio nell’animo umano, indagato in ogni recesso; e dunque il rifiuto del “Mercante” come manifesto ideologico da stiracchiare da una parte o dall’altra, piuttosto la rappresentazione delle innumerevoli tonalità di cui risuona un’umanità dominata dall’interesse e dal denaro, in cui ogni personaggio (e non certo il solo Shylock) agisce in base a ben calcolate strategie, e lo stesso amore coniugale possiede in sé il formidabile incentivo dell’incremento del patrimonio; un pensiero che ossessiona ogni minuto dell’esistenza, come esprime il monologo di Salerio: “Se entrassi in chiesa  e vedessi la pietra del sacro edificio, come potrei non pensare al pericolo degli scogli che, al solo toccare sul fianco il mio agile vascello, ne spargerebbero tutte le spezie sui flutti, vestendo delle mie sete le acque ruggenti?”. Se quindi dobbiamo cercare in Shylock una “diversità”, per Bassi non dobbiamo certo scovarla in un presunto razzismo della comunità veneziana (cui gli ebrei erano certo meno invisi che in molti altri Stati), semmai nell’alterità che l’ebreo rappresenta in una città che, pur cosmopolita, fatica a stabilire un rapporto paritario con il “forestiero”: la stessa dinamica che si registra nell’altro grande lavoro shakespeariano ambientato a Venezia, l’Otello. Qui lo straniero è sì integrato, per i servigi militari, al servizio della Repubblica, ma proprio per questo ne è anche asservito (proprio come i ducati di Shylock sono indispensabili alla comunità mercantile rappresentata da Antonio); e questo rapporto, che non è di sudditanza ma nemmeno tra pari, sfocerà inevitabilmente nel fallimento (la morte per Otello, la conversione e la rovina per Shylock). Un’alterità, quella del forestiero, che è basata essenzialmente sull’ignoranza: di Otello nessuno conosce la provenienza ma è definito moro, un termine che, ha illustrato Bassi, non identifica nulla di preciso ed è applicabile a una pluralità di appartenenze, ma contiene in sé un elemento di “responsabilità oggettiva”, una presunzione di colpevolezza dovuta al semplice fatto di essere identificabile come straniero. Allo stesso modo, il “Mercante” indaga sull’impossibilità di comunicare tra popoli diversi tra loro, ma accomunati dalle stesse passioni e debolezze. Basterebbe questo, forse, per sostenere che, se molti hanno usato Shylock contro il suo popolo, altrettanti possono considerarlo un simbolo sulle affinità inconsapevoli di fazioni che si contrastano. Una lettura a tanti livelli, il destino di ogni opera d’arte.

Martino Periti

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