SCIENZA E RICERCA

Siamo ansiose? Vorremmo vedere voi

La giornata tipo di una donna sui 40 inizia in media alle 6.30. Prepara la colazione, veste i figli e li porta a scuola. Poi va al lavoro. Al rientro, ci sono i compiti dei bambini e le loro attività sportive, le faccende domestiche e la cena. Con un aiuto del marito nei casi più fortunati. In tutto questo, molte devono dedicarsi ai genitori anziani, talvolta anche ai suoceri. I figli arrivano più avanti con l’età e quindi il compito di allevare la prole e di dedicarsi alla famiglia di origine spesso coesistono. 

È un dato di fatto che in Italia, secondo le fonti Istat, si assiste a un progressivo incremento della popolazione anziana e della speranza di vita (84 anni per le donne e 79 per gli uomini) e alla contemporanea diminuzione di quella giovanile. Nel 2012 si contano 147 anziani ogni 100 giovani e in Europa, solo la Germania ha un indice di vecchiaia più elevato. Parallelamente anche il numero di donne che lavorano è in aumento sia per necessità, soprattutto negli ultimi anni di crisi, sia per una maggiore scolarizzazione femminile e ambizione professionale.  

Ben lontana dallo stereotipo di “angelo del focolare”, il ruolo della donna nella società è cambiato e ai tradizionali compiti che la cultura patriarcale le attribuisce, si uniscono oggi la partecipazione all’economia familiare, la condivisione delle responsabilità e il sostegno al nucleo di origine, complici talvolta l’inadeguatezza dei servizi, la scomparsa delle vecchie famiglie (con tutti i vantaggi e gli svantaggi che questo comporta) e probabilmente anche un senso della famiglia molto marcato nel nostro Paese. Ma tutto questo ha uno scotto da pagare? Secondo i medici sì.

Uno studio recente, The Anxious sex pubblicato sulla rivista Scientific american mind, sostiene che le donne nel corso della vita siano più soggette a disturbi d’ansia, e cioè ad attacchi di panico, ansia generalizzata, fobie o disturbi ossessivo-compulsivi, con un tasso del 33% contro il 22% degli uomini. Altre ricerche provano che patologie come depressione e ansia sono quasi due volte più comuni nelle donne che negli uomini. 

Giulia Perini, psichiatra del dipartimento di Neuroscienze dell’università di Padova, lo conferma: “Le donne sono più esposte a disturbi d’ansia rispetto agli uomini, sebbene le ragioni non siano ancora del tutto chiare. Concorrono certamente fattori sia di ordine biologico che socio-culturale”. L'effetto della ciclicità ormonale sulle strutture cerebrali che regolano ansia e umore possono essere alla base di questa maggiore incidenza, ma non solo. Alcuni studi parlano di predisposizione genetica, mentre altri imputano la differenza di genere a diversità cognitive tra uomini e donne. Davanti a situazioni di stress, ad esempio, il maschio risponde con aggressività o irritabilità, mentre la femmina tende ad essere più apprensiva. Si tratta tuttavia, sottolinea Perini, di ipotesi non ancora sufficientemente avvallate dalla ricerca scientifica.

“L’elemento culturale è un fattore importante da considerare. Il ruolo della donna è cambiato e oggi è sottoposta a responsabilità e a un ritmo di vita più incalzante e stressante”. Dalla cura dei figli e del marito all’impegno professionale, si calcola che le donne lavorino in media tre ore in più al giorno rispetto agli uomini. “E sono più sole. Mancano quei paracaduti sociali in grado di alleviare le situazioni di stress”. 

I segnali di allarme, con le dovute differenze a seconda del disturbo, sono chiari: apprensività, paura fino ad attacchi di panico veri e propri, timore che possa accadere qualcosa di grave, sensazione di estraneità alla realtà. Dal punto di vista fisico si manifestano tachicardia, cuore in gola, respirazione frequente, vertigini, disturbi del sonno. Ciò che è preoccupante è che il 37% dei malati, con le opportune proporzioni nelle donne, non si sottopongono alle cure: c’è la tendenza ad automedicarsi con farmaci ansiolitici come le benzodiazepine che in realtà non sono i più indicati. “Spesso questo tipo di problema viene sottovalutato o si tende a conviverci – conclude Perini –. Lo specialista invece con il trattamento adatto, farmaceutico o associato a una terapia cognitivo-comportamentale, può aiutare a risolvere il problema e prevenire ricadute”. Le tecniche cognitivo-comportamentali, in particolare, insegnano a sfruttare anche la propria intelligenza emotiva e ad affrontare le situazione di ansia in maniera alternativa.   

Nelle donne ogni cosa è cuore anche la testa. Lo diceva Jean Paul Richter a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento e forse dovremmo rifletterci. O forse, invece di andare in farmacia, dovremmo chiedere ai nostri partner un po’ di collaborazione in più e ai nostri governi maggiori servizi. 

Monica Panetto

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