SCIENZA E RICERCA

Siamo tutti un po' radioattivi

“In Italia il problema è piccolo, ma tocca la psicologia delle persone e i media a volte contribuiscono a scaldare gli animi”. A sottolinearlo è Carlo Rossi Alvarez dei laboratori nazionali di Legnaro dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn). Si parla del programma tutto italiano di un impianto nazionale di smaltimento di rifiuti radioattivi su cui l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) si è recentemente espressa. Si discute di nucleare e di post-Chernobyl ma anche di radioattività naturale, quella a cui tutti noi siamo quotidianamente esposti, con particolare riferimento alla nostra regione.  

“Il Veneto – spiega Alvarez coautore di uno studio condotto dai ricercatori di Legnaro in collaborazione con le università di Ferrara e di Siena – risulta essere una regione con una radioattività terrestre medio bassa in quanto prevalentemente alluvionale, al contrario di aree come il Lazio, la Campania o il sud della Toscana”. Le misurazioni, eseguite tra il 2010 e il 2013, dimostrano tuttavia l’esistenza di punti in cui la radioattività è maggiore e cioè nelle zone dei colli Euganei, di Recoaro nel Vicentino e dell’alto bellunese vicino al confine con l’Austria. 

La situazione dei colli Euganei, spiega il docente, è complessa. I colli sono delle bolle di lava che hanno spinto il terreno alluvionale verso l’alto, qui il terreno si è crepato e si è verificata una fuoriuscita di materiale magmatico. Per questa ragione alcuni punti sono più radioattivi di altri. Proprio questa situazione, a macchia di leopardo, rende particolarmente importante la mappatura territoriale. “Avere misure così dettagliate – continua Alvarez – permette alle amministrazioni di fare una legislazione mirata, decidendo in che modo andranno costruiti gli ambienti interrati e seminterrati, come garage, cantine e taverne,  per salvaguardare la popolazione dal pericolo del radon, un gas radioattivo. E consentirà anche di fare scelte accorte nella concessione di cave o di opere pubbliche come gallerie”. Ciò che è importante è dunque stabilire dei criteri di gestione del territorio in analogia a quanto avviene per le zone sismiche.

Seconda regione dopo la Toscana in cui è stato condotto questo tipo di rilievo, le misurazioni in Veneto si distinguono per l’utilizzo di una strumentazione particolare, un velivolo dotato di rivelatori, dei cristalli che producono una scintilla luminosa quando vengono colpiti dalle radiazioni emesse dal terreno. Per misurare gli elementi radioattivi naturali (potassio, torio e uranio) oltre a questi velivoli sono state utilizzate anche tecniche di campionamento tradizionale.

Lo studio si inserisce nell’ambito di un progetto più ampio, Italrad (Italian Radioactivity Project), che vuole dotare il nostro Paese di una carta della radioattività naturale attraverso misure di spettroscopia gamma. La raccomandazione viene nel 2000 dalla Commissione europea allo scopo di monitorare la radioattività ambientale e determinare il grado di esposizione della popolazione. In Italia la prima (e unica) regione a muoversi è la Toscana. In Veneto le misurazioni sono state condotte grazie a un finanziamento di 200.000 euro da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, accanto ai 20.000 euro messi dall’Infn. Attualmente, grazie a un finanziamento ministeriale, sono in corso le misurazioni nelle Marche, in Umbria e in Sardegna. 

Parola d’ordine, dunque, monitoraggio e salvaguardia preventiva. E il discorso non cambia se si parla di radioattività artificiale. “Noi siamo ancora sotto gli effetti che derivano dall’incidente di Chernobyl – spiega Alvarez – Si consideri che il tempo necessario affinché la radioattività del cesio si riduca della metà è 30 anni”. E il pensiero corre al ritrovamento di cesio 137 nelle carni di cinghiali nel vercellese lo scorso anno. La quantità presente sul territorio italiano non è molto elevata ma esistono luoghi come le pendici di montagna, in cui vi furono precipitazioni all’epoca della nube radioattiva, con una concentrazione un po’ più alta pur senza conseguenze per la popolazione. Il problema risiede nel fatto che il sistema biologico ha la capacità di concentrare alcuni elementi, basti pensare ai funghi di cui poi si nutrono alcuni animali. “È importante per la salute del cittadino – spiega Alvarez – fare dei controlli sulla quantità di cesio presente nelle carni degli animali selvatici nei parchi. L’Austria li fa ormai da moltissimi anni”. Perché il contenuto di cesio aumenta quando c’è produzione di funghi nei boschi e diminuisce il resto dell’anno. In questo modo si potrebbe decidere quando macellare gli animali. 

L’Italia, d’altra parte, ha avuto poche centrali nucleari e, soprattutto dopo il referendum del 2011 in cui il nostro Paese si è espresso contro il nucleare, a far discutere è soprattutto la gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi. Anche in questo caso il nostro Paese non ha una quantità di scorie radioattive particolare al contrario di Francia, Spagna, Germania e Svizzera in cui, ad esempio, esistono ancora quattro centrali in funzione. In proposito, è in programma la costruzione di un deposito nazionale a fronte di quelli (non molti) che esistono oggi. Sulla questione l’Ispra è intervenuta recentemente dando i Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività. “Le zone geologicamente favorite – argomenta Alvarez – sono quelle meno a rischio di terremoti. L’Italia è un Paese abbastanza sismico, a eccezione della Puglia, della Lucania e della Sardegna. Ed è importante anche tener conto, tra l’altro, dell’eventuale presenza di smottamenti o frane e di acque sotterranee”. Eventuali rischi per la salute nelle zone limitrofe? “La scelta dei siti è fatta con molta accortezza rispetto alle conoscenze che abbiamo. Le centrali moderne oggi sono molto sicure e quando le cose non funzionano di solito c’è un errore umano. Una malagestione, una gestione non accorta che cerca di risparmiare può produrre danni. A fallire non è la tecnica, ma la gestione. Certo, l’uomo può sbagliare nell’elaborazione del progetto, ma anche in questo caso è perché subentra un altro interesse rispetto alla sicurezza”. 

Monica Panetto

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