SOCIETÀ

Smart Cities: grandi investimenti, ma i risultati devono ancora venire

L’Internet delle Cose, di cui si parla da tempo, non riguarderà solo le nostre vite personali (cellulari, GPS e devices di tutti i tipi, che potranno scansionare ogni cosa trasmettendo dati in entrata e uscita) o le nostre case (frigo che manda messaggi al supermercato, webcam che ci avvisa se qualcuno entra in casa...), ma riguarda già, e soprattutto, la società in cui viviamo, le città che abitiamo, il pianeta che inquiniamo. Da anni il concetto di smart city ricorre in dibattiti, congressi e fiere internazionali. A Barcellona (la quarta città più smart d’Europa, secondo la lista elaborata dall'esperto di urbanistica e strategie ambientali Boyd Cohen) si tiene dal 2011 un congresso annuale che dura tre giorni e al quale partecipano i maggiori esperti nei principali ambiti di applicazione del modello di società e di città “smart”. Quest’anno il congresso si terrà dal 18 al 20 novembre, ma i lavori di preparazione sono sempre in corso. Così come è in corso e più vivo che mai il dibattito a livello internazionale. L'Expo di Milano 2015 verterà anche su questi temi, strettamente legati all’”Energia per la vita” dei cartelloni pubblicitari. E, rimanendo in Italia, il 22, 23 e 24 ottobre prossimi si terrà a Bologna la terza edizione della Smart City Exhibition, un momento di riflessione ma anche una call for ideas che affronta – così nella presentazione - una delle “priorità europee e mondiali attuali”.

Le "città intelligenti" sono una realtà in formazione e una necessità per il futuro del pianeta, sostengono le istituzioni internazionali (i fondi europei dedicati, per esempio, sono fra quelli che più aumentano tra i finanziamenti dell’Unione). Il sovraffollamento al quale saranno soggetti i centri urbani nei prossimi decenni impone da subito una pianificazione e una riflessione su come progettare città più sostenibili e in grado di creare capitale sociale, benessere per le persone e migliore qualità della vita. Ma di cosa stiamo parlando esattamente? Cosa si intende per città intelligente? Molti di noi sanno perfettamente cos’è uno smartphone, ma nessuno si è ancora imbattuto in una smart city vera e propria. In effetti, in Italia ci sono diverse città che si stanno attivando su questo fronte (Trento, Varese, Genova, Torino, Bologna...), ma sono poche quelle che vengono nominate come esempi di applicazione della tecnologia ai bisogni delle città a livello internazionale. Anche se la selezione dei criteri e gli indicatori presi in considerazione per stilare le liste rende difficili confronti tra paesi e realtà diverse, in Europa, per esempio, spesso si sente parlare di Copenhagen, Amsterdam e Vienna, oltre a Parigi, Stoccolma e la già citata Barcellona, come esempi di strategie smart per gestire il traffico, la raccolta dei rifiuti o la distribuzione di energia, acqua e gas. 

Dando un’occhiata alla bibliografia sull’argomento, si trovano saggi e raccolte di esempi, ma anche studi critici che mettono in dubbio la necessità di rivoluzionare le nostre città in questo senso e con così tanta fretta. In Smart Cities: Big Data, Civic Hackers, and the Quest for a New Utopia, l’urbanista americano Anthony Townsend descrive la smart city come un ambiente urbano in cui la tecnologia viene applicata alle infrastrutture, agli edifici e alle persone stesse per risolvere problemi di convivenza o ambientali e permettere una migliore distribuzione delle risorse. Townsend traccia un panorama di grande interesse, anche se difficile da consolidare: non basteranno progettazione intelligente, fondi internazionali per l’innovazione o architetti, designers e programmatori impegnati affinché una città diventi smart. Servono soprattutto la motivazione e la partecipazione degli abitanti, spiega. Ma anche la collaborazione di multinazionali, erogatori di servizi o aziende produttrici di energia e tecnologia, che investano e ricavino profitto dall’ottimizzazione delle prestazioni nel suolo pubblico o privato dei centri urbani.

E così, gli esempi più validi di politiche smart nelle città sono i progetti gestiti in collaborazione con aziende private specializzate in nuove tecnologie informatiche e con immensi interessi nel settore, come IBM, Siemens o Cisco System. La produzione di energia solare per l’autosufficienza energetica di interi quartieri è già una realtà in diverse città americane. La gestione dei rifiuti o la manutenzione di giardini e aiuole nella cittadina di Sant Cugat, a dieci km da Barcellona, per esempio, sfrutta da anni i segnali di allerta che arrivano dai chip posizionati nei cassonetti o sugli alberi. Case, palazzi, edifici pubblici, strade e parchi, nelle future smart cities tutto sarà, nelle intenzioni, a basso consumo e inquinamento ridotto. 

Ma anche nel caso delle città intelligenti, come per la proliferazione degli apparecchi smart nelle nostre vite, non si può non chiedersi cosa succederebbe se i problemi tecnici fossero più frequenti del previsto. Una quantità sempre più alta e interconnessa di cose e persone dipenderebbe necessariamente da chi saprà risolvere le disfunzioni della rete. Un nuovo mestiere, richiestissimo, sarà quello dei manutentori dell’immenso network dal quale dipenderanno la maggior parte delle azioni quotidiane dei cittadini. E chi, invece, non potrà permettersi devices, case o connessioni smart soffrirà un nuovo tipo di isolamento sociale? Domande, queste e molte altre, a cercano di rispondere i congressi, i libri, le discussioni e i forum che si moltiplicano ad ogni latitudine, e nei cui titoli non manca mai la parola più in voga del momento: smart. 

Claudia Cucchiarato

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