CULTURA

Sofia si veste sempre di nero

Sofia si veste sempre di nero di Paolo Cognetti è un romanzo unico fatto però di una successione di racconti, messi uno in fila all’altro in un ordine che non è casuale ma neppure cronologico, e che possono essere letti così come li ha concatenati l’autore oppure uno per volta, a distanza di tempo. Sono scritti in terza, in prima, persino in seconda persona e narrano la vita di Sofia Muratore, nata una notte imprecisata del 1977 (è quasi coetanea dell’autore, classe 1978), e di tutti coloro che con Sofia hanno avuto a che fare, diventando per lei persone cardine o avendo incrociato appena il loro destino con il suo.

Si comincia con l’infermiera di turno la notte in cui Sofia nacque, per poi incontrare Oscar che ha la mamma gravemente ammalata e viene a vivere per qualche tempo in casa Muratore; è quindi la volta di zia Marta, brigatista o quasi, fuggita e ritornata: l’unica in grado di comprendere la nipote cui “il bianco sta bruciando il cervello” e che “non mangia mai”, o della mamma Rossana che ama dipingere e si trova imbrigliata nel ruolo di moglie abbracciando infine una depressione disperata, o dell’ingegner Muratore, papà di Sofia, che lavorava alla Fiat progettando l’Alfa 164 e finì con l’innamorarsi dell’unica donna con cui condivideva la sua passione, una giovane collega. Ce ne sono ancora molti altri di personaggi nell’unica grande storia che l’autore intreccia tra i racconti, e tra loro i minori sono forse i più riusciti, come la coinquilina che si rende conto, o forse no, di essersi innamorata di Sofia.

Compaiono le date nei racconti, era il 10 settembre 1994, oppure il 9 settembre 1980 quando le cose accadono nelle vite dei personaggi di Cognetti, e queste delineano l’orizzonte temporale come delle boe, dei segnavia che l’autore dissemina nei racconti per permettere a chi lo voglia di ricostruire la cronologia degli eventi, dei singoli e della comunità. Ma la volontà di costruire una trama riconoscibile non è forse l’obiettivo primo dell’autore, che non a caso sceglie il racconto - cifra anche delle sue opere precedenti - come strumento per ricreare un contesto, per presentare il punto di vista di ciascuno. Per dare spazio, e personalità, anche a chi non è voce narrante delineandone i tratti attraverso i dettagli. Sofia è ciascuno degli altri: in un racconto è bambina, in un altro è giovane come giovani sono i suoi genitori quando si sposano e nemmeno immaginano come diventeranno; s’innamora delle persone sbagliate, così com’era successo a suo padre, e si immedesima nella zia che alla ribellione ha sostituito, crescendo, la bizzarria e l’empatia verso gli altri.

L’impressione è quella che le generazioni si fondano e attualizzino in un'unica grande storia atemporale, scandita piuttosto dai sentimenti, mai rivelati ma descritti attraverso i dettagli, gli aneddoti, le intrusioni degli eventi storici (gli scioperi alla Fiat negli anni Settanta, per esempio) e poco importa se si perde il filo perché in realtà la scrittura riesce a farsi potente proprio nel non disorientare il lettore che si muove tra situazioni diverse e connesse solo in parte, ma a lui - almeno inconsciamente - conosciute. È nella nostra storia che il mosaico di storie di Sofia prende il suo respiro.

Cognetti dice di avere in mente Alice Munro, celebre scrittrice canadese, per la quale una storia è come una casa all’interno della quale il lettore si muove a piacimento tra le stanze, i corridoi, si ferma ad un davanzale a guardar fuori. Chiama alla mente anche una composizione musicale, l’opera di Cognetti: un canone a più voci, dove il punto di vista (e dell’animo) di ciascuno segue la propria linea melodica, ma nell’insieme costruisce con le altre un’opera unica in cui la diversità e la ripetizione sono la chiave per trovare implicitamente il senso e in cui potenzialmente non c’è inizio e non c’è fine.

Valentina Berengo

Paolo Cognetti, Sofia si veste sempre di nero. Roma, Minimum Fax, 2012

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