UNIVERSITÀ E SCUOLA

Tagli all’università: in Inghilterra spunta la laurea low cost (da 6.000 euro all’anno)

Di spending review, con particolare riguardo a educazione e università, non si parla ormai soltanto nell’Europa continentale. Anche nel Regno Unito, che da fuori sembra spesso risparmiato dai colpi più duri della crisi, si ragiona su come adattarsi alle nuove necessità imposte dalle ristrettezze economiche. È il caso delle rette universitarie che, in seguito ai tagli degli ultimi anni da parte del governo sostenuto da conservatori e liberali, sono lievitate fino a circa 9.000 sterline all’anno (circa 10.500 euro), creando seri problemi agli studenti e alle loro famiglie.

Secondo quanto riporta il Times of Higher Education una commissione di esperti dell’Institute for Public Policy Research – pensatoio non profit che si dichiara progressista – ha proposto un’idea destinata a far discutere: concepire e strutturare la possibilità di una retta di “sole” 5.000 sterline (5.800 euro) per gli studenti lavoratori o che comunque frequentano università vicine a casa, senza andare a vivere nei celebri campus (gli Stay-at-home students). Come contropartita i richiedenti sarebbero esclusi dalle borse di studio e dagli altri benefici economici, generando un consistente risparmio per le casse pubbliche.

La soluzione proposta, secondo gli esperti, sarebbe in grado di coniugare una low cost expansion della massa degli studenti con il mantenimento di elevati standard di qualità e di ricerca. Nigel Thrift, presidente dell’Ippr e vicecancelliere dell’università di Warwick, è addirittura arrivato a prospettare l’esigenza di “un nuovo tipo di laurea”, destinata a persone che desiderino coniugare il lavoro con un corso di studi di loro interesse, non necessariamente in vista di una crescita professionale.

Così però non si rischia di mettere in piedi un sistema universitario a due corsie, con la creazione di un “esamificio” parallelo fatalmente destinato ai più poveri? Il problema è che il Tesoro ha previsto per il 2015-16, dopo le elezioni del prossimo anno, tagli al bilancio governativo per circa 10 miliardi di sterline (fra gli 11 e i 12 miliardi di euro), di cui almeno uno dovrà riguardare il Department for Business, Innovation and Skills. Una diminuzione di circa l’8% che sta gettando nell’insicurezza gli atenei del Regno Unito, dato che l’istruzione universitaria costituisce la parte preponderante del budget del dipartimento.

A preoccupare è anche l’andamento degli student loans: i prestiti d’onore garantiti dal governo agli studenti per potersi pagare l’università. La percentuale dei debiti non restituiti in pochi anni è salita da un’iniziale previsione del 30% all’attuale 34%, e si stima potrebbe arrivare presto al 40% a causa della crisi economica e dell’aumento delle rette. Considerato che ogni punto percentuale costa allo stato milioni di sterline, c’è il timore che possa essere risucchiata in questa direzione un’altra parte importante dei finanziamenti a università e ricerca. Risparmi potrebbero invece derivare dalla denatalità, con la diminuzione della massa dei soggetti in età universitaria.

Anche il blasonato sistema inglese insomma, spesso indicato come modello dalle nostre parti, si trova a fare i conti con i limiti imposti dalla riduzione del deficit. Una realtà che poggia anche sulla sensazione, diffusa oggi in Gran Bretagna, che il sistema universitario sia stato finora in qualche modo risparmiato dalla politica di rigore. E questo nonostante le proteste provocate nel 2010 dal brutale innalzamento delle tasse universitarie.

D'altronde, con il crescere dei costi e la riduzione di buoni sbocchi lavorativi post-laurea, causata dalla crisi, anche nei sistemi anglosassoni gli atenei si trovano ad affrontare un problema di immagine mediatica e di lobbying strategico. Forse anche per questo a tutt’altre latitudini, e precisamente in Australia, l'organo di rappresentanza delle università ha lanciato una campagna informativa da cinque milioni di dollari australiani, con lo scopo di spingere – nell’anno delle di elezioni – per un aumento degli investimenti statali nel settore e per promuovere la consapevolezza pubblica dell’importanza dell’istruzione superiore.

Daniele Mont D’Arpizio

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