SCIENZA E RICERCA

Ti guardo e scopro se stai mentendo

Se il progresso misura le incrementate potenzialità dell’uomo, porta con sé sempre anche una qualche forma di alterazione della sua libertà, da cui i dilemmi in ambito medico (aborto, eutanasia) ma anche sull’uso della tecnologia. È tanto comodo geolocalizzarsi col cellulare per impostare il navigatore, o consultare internet ovunque per un qualsivoglia dubbio, ma è di certo inquietante accorgersi che la tecnologia ci spia: impara a conoscere i nostri gusti, le nostre abitudini, le nostre idee e frequentazioni senza che ce ne accorgiamo, quasi fossimo nel panopticon di Bentham. Non solo: questi dati vengono rapidamente aggregati e studiati da aziende e governi.

A tutto ciò di recente si aggiunge una nuova inquietante possibilità: c’è chi è in grado di capire se il proprio interlocutore mente o invece dice la verità, attraverso una vera e propria tecnica che può essere anche insegnata. È Mark G. Frank dell’università di Buffalo, che è stato anche ospite dell’ateneo: sulla scia del lavoro del suo maestro, lo psicologo Paul Ekman (celebre per aver scritto un libro a quattro mani col Dalai Lama ed aver ispirato la serie televisiva Lie to me), si dedica allo studio del linguaggio non verbale e di come questo sia in grado di tradire le emozioni.

Il volto umano, infatti, produce delle espressioni involontarie che perdurano per un tempo di circa un terzo di secondo e che, se colte, permettono all'osservatore di farsi un'idea dello stato d'animo di chi le manifesta: rabbia, disgusto, disprezzo, paura, felicità, tristezza e sorpresa, sono le grandi famiglie di emozioni che lo studioso ha individuato, e che insegna a riconoscere agli allievi dei suoi corsi.

Frank, infatti, tiene periodicamente seminari a giudici, magistrati e medici (di recente anche in Italia), contribuisce all’addestramento delle agenzie di polizia federale e di intelligence statunitensi, ed è diventato, dopo i fatti dell’11 settembre, consulente scientifico della Casa Bianca e dell'Fbi per l'antiterrorismo.

La sua tecnica è stata anche utilizzata per progettare un sistema digitale automatizzato in attesa di brevetto: una sorta di “macchina della verità” in grado di interpretare le espressioni del volto, così come le tecniche laser e ad infrarossi valutano invece il flusso sanguigno, il battito cardiaco, la sudorazione e la dilatazione delle pupille, o la variazione di colore dell’iride.

Ma come individuare la menzogna a partire dalle espressioni del viso? Poiché non esiste un vero e proprio “effetto Pinocchio”, quelli che vanno ricercati in chi sta cercando di occultare il proprio pensiero, sono dei segnali rilevatori della menzogna (hotspots), ossia delle anomalie nella congruità dell'insieme dei comportamenti non verbali: micro-espressioni facciali, gesti illustratori (il gesticolare) e manipolatori (il toccarsi). Accade, per esempio, che chi mente a parole risponda affermativamente ad una domanda mentre invece scuote il capo involontariamente in senso di diniego: questo è un hotspot. Oppure è possibile che un imputato sorrida durante tutto un interrogatorio: non è detto che stia mentendo e rida per nervosismo, potrebbe essere una sua inclinazione caratteristica e nulla deve far inferire sulla sincerità delle sue parole.

È necessario, quindi, che chi interroga riesca a stabilire quale sia la condotta normale di chi ha di fronte, la base line, secondo le definizioni di Frank, e ponga attenzione ai comportamenti che da essa deviano. Lo studioso porta l’esempio di O.J. Simpson, nel cui processo per l'omicidio della moglie aveva asserito con sicumera di non aver mai indossato un certo tipo di scarpe di cui era stata trovata un’impronta sulla scena del delitto; ebbene: quando gli viene data in esame una foto che lo ritrae proprio con quel modello di calzature ai piedi, per un istante sgrana gli occhi (sinonimo di paura) quindi serra forte le labbra (segnale di autocontrollo), ma nega ancora. Lavorando col fermo immagine sul filmato dell’interrogatorio, chiunque è in grado di cogliere distintamente le micro-espressioni che lo inchiodano, ma gli specialisti del settore ci riescono de visu e in pochi istanti.

Secondo le statistiche di Frank, i migliori nello smascherare la menzogna sono gli agenti dei servizi segreti americani, con una percentuale di attendibilità pari alla macchina della verità (73%), seguiti a ruota dagli psicologi clinici dello specifico settore, i giudici federali e i detective del dipartimento di polizia di Los Angeles. Paradossalmente, invece, chi ha più a che fare con casi di menzogna ordinaria, come capita ai poliziotti della stradale, parte svantaggiato, perché è vittima del pregiudizio “sono tutti bugiardi”. È vero anche che, tra le persone comuni, ci sono i cosiddetti "maghi": per loro capire chi mente o chi dice il vero è una dote innata; per tutti gli altri è un'abilità che si può acquisire e che Frank insegna. Come si fa?

Innanzitutto bisogna condurre l'interrogatorio secondo delle semplici ma fondamentali regole. In primis mai mettere in soggezione l'interrogato (niente tecnica del “poliziotto buono e del poliziotto cattivo” quindi), perché la paura interferisce con la possibilità di scorgere gli hotspots, come un rumore che si sovrappone ad un segnale. Per allenarsi a riconoscere le micro-espressioni facciali e i segni rivelatori, poi, Frank propone ai corsisti i filmati degli interrogatori condotti da esperti del settore su volontari, cui viene detto, per esempio, di entrare in una stanza, decidere se rubare i soldi contenuti in una busta e poi sottoporsi all'interrogatorio in cui dovranno mentire, qualora abbiano rubato. Se riusciranno a farla franca, potranno tenere il denaro, altrimenti verranno puniti. Scoprire chi mente e chi è sincero non è davvero facile: ci vuole molto allenamento.

Ma gli studi di Frank e dei suoi collaboratori offrono di più ancora. È stata individuata infatti una correlazione tra le micro-espressioni facciali dei leader politici di gruppi di estremisti durante i discorsi di incitamento e il degenerare della violenza; oppure è possibile studiare dei protocolli di avvicinamento ai pazienti potenzialmente pericolosi quando si presentano al pronto soccorso; o ancora valutare le conseguenze degli interventi di chirurgia estetica al volto sulla capacità comunicativa del paziente. Nella vita di tutti i giorni, poi, un selezionatore del personale avrebbe decisamente da che trarre spunto da un seminario del professor Frank.

Che dire però? Un mondo in cui la possibilità di mentire senza essere scoperti, o semplicemente di mantenere un’area di privacy rispettata dalla società e dal governo, viene a mancare dovrebbe farci paura.

Valentina Berengo

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