SOCIETÀ

Tratta degli organi, c'è ancora molto da fare

“Io sono rinato, a chi mi ha venduto il rene non penso”. Sono le parole di un italiano che nel 1998 era nel letto 218 della clinica privata Vatan di Istanbul. Il suo nome compare nella lista dei “compratori” di organi controllata dal chirurgo turco Yusuf Sonmez, giudicato colpevole di centinaia di trapianti illegali in Turchia e Kosovo, fuggito e catturato poi dall’Interpol solo nel 2011. Accanto al nome dell’italiano, diversi nomi israeliani, perché israeliano era il broker, il mediatore cui si appoggiava Sonmez. E negli atti dei processi  al chirurgo comparivano nomi di compratori e venditori da Bielorussia, Canada, Germania, Kazakistan, Moldavia, Polonia, Russia, Ucraina, Stati Uniti. In India invece operava il team di chirurghi in contatto con una mediatrice italiana, poi condannata negli stessi anni per lesioni dolose aggravate e violazione della legge sui trapianti. Sempre dall’India arrivano in questi giorni continue notizie di operazioni contro il commercio di organi: l’arresto di una banda che gestiva da quasi un decennio la mediazione e la compravendita di organi da viventi, attraendo nel racket 60-80 venditori; l’arresto di un nefrologo, ma anche di “donatori” costretti dalla povertà alla vendita dei propri organi. È di marzo la notizia della condanna di Amit Kumar, alias Doctor Horror, il chirurgo indiano che ha ammesso migliaia di trapianti di reni.

Oggi è l’Iran l’unico paese al mondo dove il mercato dei reni con espianto da viventi è legale, e come tale è regolato dallo Stato. Chiunque può vendere un rene, e la lista di chi è in attesa di farlo è molto lunga; per questo, le strade nei dintorni degli ospedali di Tehran sono tappezzate di biglietti di chi ha fretta e vuole accelerare l’iter,“Rene in vendita. O+”. Effettivamente in Iran la lista d’attesa per i dializzati è stata eliminata nel 1991, undici anni dopo la legalizzazione del mercato. Ma a quale prezzo? Si è così formalizzato un sistematico sfruttamento dei poveri (donatori) a vantaggio dei più abbienti (compratori), lasciando inesplorate altre vie per la donazione, come quelle spontanee e altruistiche, sia da viventi che da deceduti. È questo uno dei casi presi in considerazione nel  rapporto sulla tratta di persone con finalità connesse alla rimozione di organi, pubblicato pochi giorni fa dall’OSCE con l’obiettivo di fare luce, anche se parzialmente, su queste tematiche, distinguendo con attenzione fra “traffico d’organi” e “tratta di essere umani con lo scopo di rimuoverne organi”. È infatti un’analisi di questo secondo fenomeno lo scopo dell’indagine, che assimila le reti istituite per la realizzazione dei trapianti illegali a quelle della criminalità organizzata, dalle quali spesso mutuano la gerarchia e la radicata tendenza a operare in ambienti corruttibili. 

Un fenomeno globale che non trascura alcun continente e che si svolge secondo assi nord-sud, dai Paesi economicamente più sviluppati verso le zone del mondo più povere, sviluppando reti internazionali nelle quali i protagonisti sono ben individuabili: coordinatori internazionali o broker organizzano il sistema, servendosi di mediatori locali per reclutare donatori, solitamente fra i più poveri o socialmente deboli; i broker mettono poi in contatto i compratori, reclutati personalmente o attraverso un mediatore, con il personale medico (chirurghi, anestesisti, personale infermieristico) e questi con il venditore. I ruoli sono fluidi, e il chirurgo può essere anche broker, come il mediatore può svolgere anche compiti logistici. Il tutto, spesso e volentieri, muovendosi su panorami internazionali: uno scenario che renderebbe possibile una clinica in Kosovo, dove chirurghi turchi trapiantano a cittadini statunitensi un rene israeliano. A giustificare il tutto sono gli enormi guadagni dei vertici del network, a discapito di venditori spesso ingannati e male informati, talvolta sotto la falsa promessa di un lavoro ben retribuito. Il rapporto OSCE stima infatti che il più delle volte il rapporto vendita/acquisto sia di 1/10: se un rene viene pagato in Bielorussia 8.000 dollari, al compratore sarà venduto a 80.000, muovendo così un traffico di danaro che in una sola clinica può raggiungere facilmente i 18 milioni di dollari guadagnati in un anno dall’Istituto Shalimov, in Ucraina. 

Secondo un’indagine delle nazioni Unite, la tratta di persone per la rimozione di organi è circa lo 0,2% del numero totale di vittime del traffico di esseri umani; una percentuale limitata che però non circoscrive un fenomeno dalle dimensioni davvero globali. Ma se ne sa poco o nulla; intimoriti dalle leggende metropolitane, non osiamo aprire gli occhi su di una realtà che ogni giorno impoverisce il mondo campando su corruzione, guadagno, incertezza normativa, ricatto e disperazione. Di compratori e venditori.

Chiara Mezzalira

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