SOCIETÀ
Tsunami informativo: che si può fare?
Nel 2009 l’Oxford English Dictionary inserisce un nuovo termine nel vocabolario: “information fatigue”. Senza essere esperti di medicina basta aver frequentato reparti di oncologia o conoscenti in cura per tumore per sapere che “fatigue” è il termine con cui si descrivono gli effetti collaterali dei trattamenti chemioterapici.
Perché allora il dizionario inglese associa questo termine all’informazione? Con quali nessi?
Di “information overload”, ovvero di sovraccarico informativo si discute e non solo di recente. Il primo scienziato che denunciò i pericoli dell'information overload fu Konrad Gessner che non scrisse mai una mail né utilizzò un computer perché mori nel 1565. La sua polemica era rivolta al sistema di stampa con i caratteri mobili. Questo per dire che ogni epoca ha dovuto fare i conti con questo "pericolo".
Oggi si ignora che parte della comunità medica ancora nel tardo Ottocento riteneva che l'eccesso di studio fosse una delle cause principali della pazzia. La radio venne poi vista come un flagello perché distraeva i bambini dalla lettura, mentre la televisione diventava una minaccia per la conversazione e per la socialità. Oggi i video giochi e gli smartphone attirano spesso simili critiche e titoli che colpiscono molto l'immaginario vengono lanciati anche su testate autorevoli.
Queste ricorrenti grida di allarme riflettono probabilmente un dato generazionale: la tecnologia che c'era quando siamo nati sembra normale, quella che si sviluppa prima dei nostri 40 anni ci emoziona e tutto quello che viene dopo lo guardiamo con sospetto.
È assodato che la tecnologia evolva in fretta (vedi la legge di Moore), molto più velocemente della nostra capacità di capire quanto essa influenzi i nostri comportamenti e modifichi finanche le nostre capacità cognitive. Viviamo immersi in un flusso continuo e ininterrotto di notizie e informazioni che da fonti diverse convergono poi su telefoni che hanno perso ormai molte delle funzionalità originarie per diventare delle propaggini tecnologiche del corpo attraverso cui siamo sempre connessi in rete. Non è quindi banale chiedersi se siamo in grado di reggere questa inondazione permanente.
Nicholas Carr nel suo libro Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello fa l’esempio del bicchiere che se messo sotto un flusso fluido potente sembra riempirsi in un attimo, ma quando s’interrompe il getto ci si accorge che il contenuto del bicchiere è molto limitato. Sarebbe opportuno allora non scordare mai il monito di Herbert Simon, Nobel per l'economia nel 1978: “Ciò che l'informazione consuma è abbastanza ovvio: essa consuma l'attenzione di chi la riceve. Quindi una ricchezza informativa crea una povertà di attenzione”.
Se in molti ambiti professionali l’aggiornamento è opportuno e necessario, in quello medico/sanitario è addirittura un obbligo sancito dal Codice di deontologia medica (art. 19). Tuttavia un medico per tenersi aggiornato costantemente – pur limitatamente alla propria specializzazione - é stato stimato dovrebbe leggere una media di 19 articoli tutti i giorni dell'anno. Impresa impossibile considerando che ogni giorno in ambito biomedico vengono pubblicati 75 trial clinici e 11 revisioni sistematiche per un totale annuo di 2 milioni di articoli pubblicati nelle circa 20 mila riviste mediche mondiali. Senza considerare l’informazione medica che circola in rete (milioni di siti web/blog, miliardi di immagini e di video).
Nell’affrontare l’informazione medica occorre allora prestare molta attenzione, essere prudenti e mantenere un atteggiamento umile perché è impossibile ritenersi veramente esperti. Quando nasce il bisogno informativo, per quanta determinazione si metta nella ricerca di soddisfarlo e per quanta buona pratica si abbia acquisito capita di incappare in quella che è conosciuta come la Legge di Fiangle:
L'informazione che hai non é quella che vuoi.L'informazioni che vuoi non é quella che ti serve.L'informazione che ti serve non é quella che riesci ad ottenere.L'informazione che vuoi ottenere costa più di quanto puoi spendere (anche in tempo).
In questo caso si potrebbe ricorrere ai servizi di una biblioteca specializzata, anche se Richard Smith in un suo editoriale del dicembre 2010 su BMJ si mostrava scettico anche su questa strategia: “Quando arriverò in Paradiso chiederò a Dio: 'Riusciremo mai a risolvere il problema del sovraccarico d'informazione scientifica?' E Dio mi risponderà: 'Certo che sì, ma non durante il tempo della mia vita'".
Luciano Rubini